Sigmund Freud, Pensieri sparsi (1871)

Il fascino e l’importanza delle fonti e delle origini

di Michele M. Lualdi

La metodologia da me scelta si può riassumere in quattro principi: 1) non dare mai nulla per scontato; 2) controllare ogni affermazione; 3) riportare ogni cosa nel suo contesto; 4) tracciare una distinzione netta fra quelli che sono i fatti e quella che è la loro interpretazione. Quando mi è stato possibile, mi sono rivolto alle fonti originali: archivi, biblioteche specializzate, testimonianze di persone degne di fiducia che siano state presenti ai fatti stessi. Delle fonti indirette ho cercato di appurare l’attendibilità.1

Con queste parole, che aprono la Prefazione del volume La scoperta dell’inconscio, notevole tanto per i contenuti quanto per il lavoro di documentazione che li sorregge e comprova, lo psichiatra svizzero Henri Ellenberger sottolinea tra gli altri un punto fondamentale della ricerca – se tale si pretende chiamarla – storiografica: la puntuale indagine delle fonti e la loro trasmissione più fedele possibile, elemento cardine per la ricostruzione degli eventi storici e per l’articolazione di ipotesi interpretative che non scadano nella banalità dell’opinione traballante o infondata. È ovvio che questa accortezza da sola non basta, ma a volte sembra esserlo un poco meno il fatto che più l’indagine e la ricostruzione storiografica si reggono su basi fragili, maggiori sono i pericoli di interferenze che, come le classiche onde create dal sassolino nell’acqua cheta, finiscono per dare origine a immagini deformate di ciò che si intende osservare e mostrare. Quali esempi migliori di simili mancanze, in campo psicoanalitico, delle non poche “pecche” rilevabili nella classica biografia freudiana di Ernest Jones?2 Opera senz’altro fondamentale e ammirevole per la mole di documentazione che l’ha resa possibile, ma non priva di alterazioni più o meno innocenti di certi fatti storici, tramandatisi non di rado acriticamente di generazione in generazione.

I “peccati” più gravi si hanno nelle occasioni in cui Jones impiega parzialmente o in modo distorto le sue fonti per screditare qualcuno.3 Basti qui ricordare la narrazione che ci offre degli ultimi mesi di vita di Sándor Ferenczi, che sarebbero stati caratterizzati dalle “sue latenti tendenze psicotiche” esacerbate dalla malattia fisica.4

Altre volte l’intento appare essere più quello di elevare Freud che non l’affossare qualcun altro. Ricordo in tal senso il leggendario episodio della dichiarazione firmata da Freud alla Gestapo per ottenere il visto d’uscita da Vienna, in calce alla quale egli avrebbe apposto la sarcastica affermazione: “Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessia”.5 Come ho ricostruito nel post Freud e la Gestapo, il racconto si regge sull’uso parziale e distorto della documentazione citata dallo stesso Jones e, benché seri dubbi sulla vicenda siano stati avanzati fin dal 1989, tuttora il mito continua a prevalere, se non sulla verità, quantomeno sulla verosimiglianza dei fatti e delle ipotesi.6

Altre volte ancora Jones propone narrazioni che sembrano fondate su letture superficiali o distorte delle fonti disponibili, senza che sia possibile ricondurre ciò a una deliberata (e manipolatoria) scelta. Porto due esempi. Il primo, in ordine cronologico, riguarda la questione dei quattro biglietti che sarebbero stati inviati da Freud a Alfred Adler, Wilhelm Stekel, Rudolf Reitler e Max Kahn nel 1902 per invitarli alla prima riunione della futura “Società Psicologica del mercoledì”.7 In realtà le fonti espressamente citate da Jones avrebbero reso possibile affermare solo l’invio di un biglietto ad Adler: e infatti è questo l’unico che si è conservato e dal suo contenuto si intuisce che con ogni probabilità gli altri tre non ne ricevettero di analoghi. Il secondo è relativo alla “leggenda”, decisamente più nota, stando alla quale fu Carl Gustav Jung a far conoscere a Freud Gradiva, la novella di Wilhelm Jensen.8 Il materiale documentario emerso in anni recenti ha consentito di appurare definitivamente che la segnalazione non fu di Jung, ma di Wilhelm Stekel.9 Il fatto che qui importa non è tanto che la leggenda continua a imperare10 ma soprattutto che un’analisi accurata delle fonti già disponibili a Jones avrebbe consentito fin da subito di ritenere decisamente inverosimile il ruolo di Jung. E a quanto mi risulta, è di un italiano la prima seria messa in discussione del racconto “ufficiale”: il professore di Estetica Luigi Russo, che già nel lontano 1977 smontava sul piano puramente logico la classica ricostruzione, meglio articolando il suo punto di vista in un affascinante testo del 1983.11

Si tratta di pochi esempi, ma sufficienti a far comprendere da un lato quanto ancora ci sia da indagare, studiare, mettere in discussione e cercare di capire in merito alla storia di Freud e della psicoanalisi, dall’altro la viva attualità delle indicazioni metodologiche proposte da Ellenberger. Egli stesso ha dato prova delle potenzialità di un indefesso e scrupoloso interrogare le fonti non solo realizzando il testo La scoperta dell’inconscio, ma anche occupandosi in dettaglio di uno dei capitoli fondanti della psicoanalisi e del suo metodo: la storia di Anna O., al secolo Bertha Pappenheim.12

Freud sedicenne con la madre
Freud sedicenne con la madre

Poste queste premesse, il mio intento è ora quello di rendere omaggio all’esempio e alle indicazioni di Ellenberger con alcuni contributi, di cui questo vuole essere il primo, nei quali ripartire dalle fonti freudiane originarie, i manoscritti quando possibile, sia per offrire materiale di ricerca che non mi risulti già proposto in italiano, sia per verificare le variazioni cui queste fonti originarie vanno a volte incontro, spesso in modo solo parzialmente involontario.

Stando all’accurata bibliografia freudiana di Ingeborg Meyer-Palmedo e Gerhard Fichtner,13 il testo che presento è la prima piccola pubblicazione di Freud. Risale al 1871, quando uno sconosciuto liceale pubblicava cinque “aforismi” su Musarion, il giornalino scolastico, titolandoli Zerstreute Gedanke, “Pensieri sparsi”.

Che mi risulti, di essi è disponibile fin dal 1974 una e una sola edizione a stampa,14 mentre in tempi più recenti il servizio Internet Archive all’indirizzo archive.org ha messo a disposizione la scansione del numero originale di Musarion.15 Il sottile periodico consta di otto pagine, tutte scritte a mano. Il lavoro di Freud si trova sulla metà destra dell’ultimo foglio. Tutte le pagine mi sembrano vergate dalla stessa mano e, raffrontando tale grafia con quella delle prime lettere di Freud all’amico Eduard Silberstein che risalgono allo stesso anno di questi aforismi, mi spingerei a dire, pur digiuno di grafologia, che non si tratta di quella del futuro padre della psicoanalisi.

Ecco dunque il breve testo, corredato da un’immagine dell’originale e relativa trascrizione. Farò seguire alcune mie considerazioni.

Pensieri sparsi.

 

L’oro gonfia gli uomini come l’aria una vescica di maiale.

 

Il peggiore egoista è quello cui mai viene in mente di considerarsi tale.

 

Alcuni uomini sono come una miniera ricca e mai completamente esplorata;16 altri impiegano il “dare e avere”, così sulla loro biancheria come sui loro pensieri e trafiggono ogni piccolo17 verme che si smarrisce nella desolazione del loro cervello.

 

Alcuni uomini sono minerali metalliferi, alcuni mica gialla e mica bianca.

 

Probabilmente ogni grande animale supera l’uomo in qualcosa, ma questi li supera tutti18 in tutto.

Intestazione di Musarion, il giornalino scolastico su cui comparvero i Pensieri sparsi [Zerstreute Gedanken] di Freud.
Intestazione di Musarion, il giornalino scolastico del Leopoldstädter Communal-Real- und Obergymnasium di Vienna su cui comparvero i Pensieri sparsi [Zerstreute Gedanken] di Freud.
Il foglio numero 8 di Musarion, con lo scritto di Freud sulla metà destra
Il foglio numero 8 di Musarion, con lo scritto di Freud sulla metà destra

Trascrizione del testo originale:19

Zerstreute Gedanken.

 

Gold bläht den Menschen auf,

wie Luft eine Schweinsblase.

 

Der ist der schlimmste Ego-

ist, dem es nie eingefallen,

sich für einen zu halten.

 

Manche Menschen sind wie

ein reiches, nie ganz durch-

forsches Bergwerk; Andere füh-

ren „Soll und Haben“, wie

über ihre Wäsche, so über ihre

Gedanken und spießen jeden

kleinen Wurm auf, der sich

in die Öde ihres Gehirns ver-

irrt.

 

Manche Menschen sind Erze,

manche Katzengold und Katzen-

silber.

 

Wol jedes größere Thier über-

trifft den Menschen in Etwas,

er aber übertrifft sie alle in

allem.

 

S. Freud

Considerazioni

Oggettivamente, lo scarto tra la versione a stampa del 1974 e l’originale del 1871 è poca cosa: tralasciando il punto e virgola, si tratta di un aggettivo e di un pronome, la cui assenza praticamente non altera il significato del testo. Ma a parte il fatto che la perdita di 2 parole su un totale che a malapena raggiunge le 90 unità (firma compresa) fa riflettere sulla cura con cui la trascrizione (la prima, per giunta!) del testo fu compiuta, dobbiamo considerare come una vera fortuna l’assenza di contraccolpi sul significato del testo in sé.

Ci sono infatti occasioni in cui la perdita di una sola parola rivoluziona il significato dell’intero periodo. Riporto un paio di esempi. In almeno un’occasione, la prima e unica traduzione in lingua inglese20 del volume di Freud Die infantile Cerebrallähmung (1897) tralascia l’avverbio di negazione “nicht”, con ciò ribaltando completamente il significato della frase in questione,21 il che non è poco, considerato trattarsi di un testo specialistico medico. Il secondo esempio riguarda un refuso, che pur non coinvolgendo direttamente il rapporto tra traduzione e fonte o tra fonte manoscritta e sua trascrizione a stampa, fa toccare con mano cosa può succedere quando viene banalmente a modificarsi anche una sola lettera all’interno di una frase. Nella classica traduzione italiana di Boringhieri del saggio di Freud del 1906, Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhelm Jensen22 leggiamo: “Non tutti colleghiamo la nostra certezza a contenuti mentali ove il vero è commisto al falso…” (p. 323 corsivo mio). Ma il testo originale dice in realtà: “Wir alle…”,23 ossia “Noi tutti”.

L’errore, la svista, il refuso, sono tanto inevitabili quanto pericolosi e proprio questi due loro caratteri sarebbero sufficienti a giustificare il continuo confronto, richiamato da Ellenberger, con le fonti più vicine agli originali di cui disponiamo. Ma tornando ai Pensieri sparsi di Freud, se l’assenza di 2 parole su 90 sembra poca cosa, si consideri che si tratta, volendo essere indulgenti, di un ammanco del 2%, il che corrisponderebbe a un’amputazione di circa 7 pagine della summa neurologica di Freud, il già citato volume La paralisi cerebrale infantile, che in originale ne conta quasi 350. Ci tocca forse più da vicino la considerazione che L’interpretazione dei sogni, che nell’edizione tedesca di Gesammelte Werke si estende per 750 pagine, ne verrebbe ad avere una quindicina in meno, con conseguenti imprevedibili alterazioni di senso. Chi mai acquisterebbe a cuor leggero simili edizioni?

Credo che gli esempi sopra riportati, a partire dalla trascrizione a stampa dei Pensieri sparsi, passando per La paralisi cerebrale infantile fino a Gradiva, sottolineino l’importanza della consultazione delle fonti, oggi più che mai. Da un lato infatti abbiamo acquisito una maggiore distanza storica dagli eventi che hanno segnato la vita di Freud e la nascita della psicoanalisi. Questo significa possibilità di osservarli con miglior distacco ma anche con maggior difficoltà a calarci in una realtà che sempre meno ci appartiene.24 Dall’altro internet ci mette a disposizione con abbondanza risorse prima impensabili, che lo storico e l’appassionato possono e forse hanno il dovere di consultare: abbiamo molte meno scuse che non qualche decennio fa nell’appoggiarci acriticamente a una storia della psicoanalisi, spesso giunta fino a noi ricca di miti che certo non fanno onore a una disciplina in continua ricerca della (o delle…) verità.

Se queste sono le riflessioni sulle fonti da cui è oggi possibile recuperare i freudiani Pensieri sparsi, non si può non considerare che il breve testo si pone per noi, almeno in senso cronologico, alle origini della scrittura freudiana, quantomeno di quella pensata per la pubblicazione. In tal senso vorrei procedere con qualche altra considerazione.

I cinque brevi aforismi non si possono certo dire perfettamente riusciti, in particolare il terzo, la cui prolissità rispetto agli altri, insieme all’eterogeneità delle immagini cui ricorre, ne riduce di molto quell’efficacia icastica che si ha diritto di attendersi da un aforisma.

Da segnalare alcune scelte linguistiche di Freud. Rimanendo sul terzo aforisma, troviamo il termine “Wurm”, che ho tradotto letteralmente con “verme”, ma che avrei potuto forse rendere anche con “tarlo” in virtù del suo significato figurato di “rammarico segreto… verme che rode… passione”.25 La cosa interessante è che questo sostantivo di uso comune veniva a volte impiegato anche in ambito medico proprio per questo suo significato.26 Occorre tenere presente che la medicina dell’epoca, perlomeno quella neuroanatomia e neurofisiologia in cui Freud si sarebbe formato e specializzato prima di dedicarsi alla psicologia e alla psicoanalisi, faceva largo uso di termini tratti dal linguaggio comune. Non è difficile incontrare, soprattutto negli scritti neurologici di Freud più vicini alla descrizione anatomica che non alla clinica, termini quali “cilindro” (“Rohr”) per l’assone o cilindrasse e “fili” (“Fäden”) per indicare le fibre in esso contenute. E ancora, il diminutivo “rametti” (“Ästchen”) per le estensioni più sottili dei vari “rami” nervosi. Sappiamo che nella sua opera psicoanalitica, accanto all’introduzione di termini tecnici (ad es. “Libido”) e di neologismi, agevolati dalla facilità con cui il tedesco costruisce parole per composizione, Freud attingerà sempre a piene mani dal linguaggio comune. Basti a ricordarlo l’impiego del normalissimo termine “Lust” (“piacere”) che non solo assume in psicoanalisi un significato del tutto specifico, ma che dà inoltre origine a un neologismo quale “Lustprinzip”, “principio di piacere”. Si potrebbe dunque pensare che questo rimanere in stretto contatto con il linguaggio quotidiano, ovviamente inevitabile per il sedicenne autore dei Pensieri sparsi, permanga nei successivi scritti psicoanalitici in virtù di elementi legati non solo allo stile personale di Freud, ma anche alla sua formazione professionale medica.

Di raro impiego è invece un termine che si trova nell’aforisma successivo, il quarto: “Erze”, plurale di un sostantivo, “Erz” impiegato quasi sempre al singolare e in parole composte, per indicare il minerale grezzo da cui estrarre un metallo; ad esempio “Eisenerz”, “minerale di ferro”, ma anche “Golderz” e “Silbererz”, minerale aurifero e argentifero. Freud raffronta i veri minerali metalliferi, fuor di metafora le persone che nascondono in sé un vero valore (morale? psicologico?) da individuare e, in qualche modo, da estrarre e purificare, con la mica gialla e la mica bianca, ossia con minerali che pur presentandosi alla vista come simili all’oro (mica gialla, detta anche oro degli stolti) e all’argento (mica bianca), sono in realtà privi di valore. Proprio in questo passaggio la mia traduzione perde molta dell’immediatezza dell’originale, in cui i due tipi di mica sono indicati come “Katzengold” e “Katzensilber”, termini dall’incerta etimologia – sulla quale tornerò brevemente più avanti – nei quali compare espressamente il richiamo ai due metalli preziosi: oro (“Gold”) e argento (“Silber”). È intrigante ricordare da un lato la presenza di diversi passaggi, negli scritti psicoanalitici, in cui Freud tornerà a impiegare metafore metallurgiche, fino a parlare espressamente del “puro oro dell’analisi”,27 dall’altro il fatto ancor più centrale che così come i minerali metalliferi richiedono un lavoro, dunque una spesa, perché ne venga estratto il metallo, più prezioso della spesa sostenuta per ottenerlo, allo stesso modo l’analisi può essere considerata un estrarre i tesori dell’anima nascosti dalle (e commisti alle) concrezioni delle difese psichiche. Ma in realtà non è necessario rivolgersi a un futuro ancora lontano rispetto al nostro Freud sedicenne per trovare realizzazioni di questa immagine di scavo e di recupero di preziosi: perché già nel periodo in cui scrive gli aforismi Freud sembra impegnato a scavare dentro di sé, come si evince facilmente, ad esempio, da quanto scriverà all’amico Emil Fluss, circa due anni più tardi, la notte del 16 giugno 1873:

Non voglio sfidarLa, se si troverà in una qualsiasi situazione dubbia, ad analizzare spietatamente i Suoi sentimenti, ma, se lo farà, vedrà quante poche cose sicure Ella ha in Sé.28

Del resto i cinque aforismi del 1871 sembrano effettivamente, nel loro complesso, il risultato dell’osservazione del genere umano da parte di un adolescente abituato (per quali ragioni, qui non importa) all’introspezione. Non si può certo dire che in essi Freud esprima una visione positiva e ottimista dei suoi simili, intento com’è a segnalarne in particolar modo i difetti: cupidigia (primo), egoismo (secondo), scarse profondità e capacità di introspezione (secondo e terzo), povertà interiore (quarto). Più ambiguo il quinto aforisma, del quale rimando il commento. Per ora seguiamo brevemente alcune delle osservazioni di Kurt Eissler e Klaus Schröter ai Pensieri sparsi, negli articoli con cui ne accompagnano la versione a stampa del 1974. Eissler29 propone un vertice di osservazione psicoanalitico e storico-biografico. Collega il primo aforisma, con il rifiuto morale del denaro e la constatazione del suo effetto molesto sull’essere umano, alle traversie economiche del padre (pp. 106-107), il secondo all’importanza che l’auto-osservazione ebbe nel consentire a Freud di superare le difficoltà adolescenziali, trasformandosi poi in un elemento cardine dell’intervento psicoanalitico (pp. 108-110). Del terzo e del quarto si limita a dire che proseguono le critiche morali avviate nei primi due e analizza brevemente le immagini in essi contenute e la loro riuscita complessiva (pp. 112-114).

Schröter30 indaga le fonti letterarie cui Freud si sarebbe verosimilmente ispirato nella stesura degli aforismi e, in un discorso pur a tratti forzato da certa faziosità ideologica, individua in maniera convincente tali fonti in alcuni autori tra i quali ne spiccano due: da Miguel de Cervantes (pp. 134 e 148), il giovane Freud erediterebbe, in forma non del tutto consapevole, una visione del mondo di matrice originariamente cattolica secondo la quale l’universo-creazione sarebbe retto da un ordine che porrebbe l’essere umano a coronamento del tutto e gli uomini migliori al comando (p. 134). Di qui una critica all’intera società – capitalista –, evidentemente colpevole di non corrispondere all’ordine che è chiamata a rispettare e incarnare. Tracce delle opere di Johann Wolfgang von Goethe sono invece ravvisabili nei contenuti scelti da Freud per veicolare le sue critiche al sistema sociale (pp. 179 e segg.). Quale esempio riporto proprio i due termini “Katzengold” e “Katzensilber”, che richiamano da vicino un passaggio del goethiano Wilhelm Meister, in cui si ipotizza che i due nomi derivino dal fatto che la mica è in sostanza un metallo falso e ingannevole come, a giudizio dell’uomo, sarebbero anche i gatti (“Katzen”).31

Venendo ora al quinto aforisma, se ne può anzitutto notare l’incongruenza sul piano logico:32 se gli animali superano in qualcosa l’essere umano, questi non può a rigore superarli tutti in tutto. Ma tralasciando la questione logica, il punto è comprendere il senso del paragone in essere. Schröter (p. 134) e Eissler (p. 115) non hanno dubbi che vada letto in chiave positiva: l’uomo, proprio in quanto coronamento della creazione supera in meglio tutti gli animali. L’aforisma dunque, aggiunge Eissler, sarebbe una sorta di contrappeso rispetto alle critiche contenute nei quattro precedenti (p. 115). La posizione di Schröter si fonda su un vertice di osservazione sostanzialmente letterario: nella misura in cui i cinque aforismi di Freud si legano a una certa tradizione letteraria (Cervantes, Goethe, ecc.), la positiva visione della “specie” uomo non è che la necessaria conseguenza. Più interessante il discorso di Eissler il quale, tanto per formazione quanto per coerenza con il titolo del proprio intervento, (“Idee psicoanalitiche…”), cerca di sostanziare la propria affermazione con un’indagine dell’opera psicoanalitica di Freud, giungendo a dichiarare che, nonostante i commenti pessimistici sul genere umano che vi vengono fatti a più riprese, il loro autore rimarrà sempre convinto dell’assoluta superiorità dell’uomo. Peccato che…

Peccato che – anzitutto – per trovare tracce di questa concezione positiva dell’essere umano, Eissler (p. 116) non trovi altro che una sola affermazione, per giunta del 1927, dunque di un Freud settantunenne (mi chiedo dunque quanto questa possa rispecchiare tanto le sue vedute generali quanto soprattutto lo stato d’animo e le idee di un adolescente…): “La voce dell’intelletto è fioca, ma non ha pace finché non ottiene udienza”. 33 Peccato che – inoltre – si possa essere superiori agli animali anche nei difetti, non solo nei pregi e peccato che – infine – essere superiori agli animali nel bene o nel male, essere il centro della creazione e il fine della natura non implichi di necessità essere al riparo dalle critiche di un adolescente.

In altre parole, pur riconoscendo che di per sé l’aforisma resta piuttosto ambiguo, personalmente non credo tenda a controbilanciare le critiche dei quattro precedenti: per quale motivo un adolescente così lanciato a biasimare i suoi simili dovrebbe di punto in bianco sentire la necessità di lenire le ferite loro inferte (tenendo conto oltretutto che, per quanto mi risulti, nemmeno in futuro Freud si mostrerà di quelli che addolciscono la critica con l’elogio)? Non è più lineare leggere l’aforisma secondo il senso così ben indicato dai precedenti, ai quali si viene così ad aggiungere come una sorta di colpo di grazia dato al genere umano? L’uomo è la creatura peggiore e certo supera tutte le altre: per i difetti. Si potrebbe dire che tanto più un ordine universale divino lo chiama a elevarsi in quanto coronamento del creato, tanto più grave è il suo non essere all’altezza del ruolo per cupidigia, egoismo, scarsa introspezione e via dicendo e per questo va condannato: gli animali, perlomeno, occupano degnamente il posto loro assegnato.

Ma a prescindere dalla questione della visione del mondo che starebbe dietro gli aforismi, questione che lascio agli esperti di letteratura, è per me più significativo il fatto di non essere riuscito a trovare tracce evidenti di una concezione positiva dell’essere umano nel Freud adolescente e anzi, a quell’unica frase ottimistica ritrovata da Eissler all’altro capo della sua vita (e sono sicuro che, ne avesse trovate altre, le avrebbe segnalate!), se ne possono contrapporre diverse di tutt’altro tenore.

Che dire della più antica lettera a Fluss a noi giunta, quella del 18 settembre 1872? Ne riporto un cinico stralcio:

Questo ebreo ora parlava proprio nello stesso modo in cui ho già udito parlare mille altri ebrei proprio a Freiberg e perfino il suo volto mi sembrò familiare: l’uomo rappresentava un tipo che conoscevo. Lo stesso vale per il ragazzo con cui si intratteneva su problemi religiosi. Era della stessa pasta di cui il destino fa gli imbroglioni quando il tempo è maturo: vispo, bugiardo e con cari parenti che ancora si cullano nella convinzione che lui sia un talento, pur non avendo né grandi propositi né una visione del mondo. Una cuoca boema con il volto assomigliante in maniera straordinaria al muso di un cane carlino colmava la misura. Sono proprio stufo di questa gentaglia. Nel corso della conversazione venni a sapere che la donna, un’ebrea, e la sua famiglia, venivano da Meseritsch, la giusta concimaia per una pianta come questa.34

Né si pensi di trovare qualche commento positivo sugli uomini in altra parte di questa lettera o del breve carteggio, costituito da nove missive. La cosa interessante è che quel “gentaglia” corrisponde nell’originale a un termine ben noto “Gesindel”, che si può dire attraversare in sordina e indisturbato tutto l’arco della scrittura freudiana. Lo ritroviamo per esempio nella lettera a Martha Freud del 29 agosto 1883.35 Nel 1929 fa la sua comparsa in una lettera spedita a Lou Andreas Salomé il 28 luglio.36 Ancora, nel suo Diario clinico, Ferenczi riporta per ben due volte, il 12 giugno e il 4 agosto del 1932 la confidenza fattagli dello stesso Freud, secondo cui i nevrotici non sarebbero che gentaglia [Gesindel], buoni solo per fare ricerca, apprendere la psicoanalisi e guadagnare denaro.37 Quanto invece agli scritti scientifici di Freud, il termine “Gesindel” vi compare raramente. Ne ho contate quattro occorrenze, di cui solo una ci interessa in questa sede.38 Ecco cosa scrive nel 1913, nella Premessa a Il Mosè di Michelangelo:

Quante volte ho salito la ripida scalinata che porta dall’infelice via Cavour alla solitaria piazza dove sorge la chiesa abbandonata! e sempre ho cercato di tener testa allo sguardo corrucciato e sprezzante dell’eroe, e mi è capitato qualche volta di svignarmela poi quatto quatto dalla penombra di quell’interno, come se anch’io appartenessi alla marmaglia [Gesindel] sulla quale è puntato il suo occhio, una marmaglia che non può tener fede a nessuna convinzione, che non vuole aspettare né credere, ed esulta quando torna a impossessarsi dei suoi idoli illusori.39

L’importanza di questo passaggio sta tutta nel tener presente l’identificazione di Freud con la figura di Mosè, identificazione le cui origini possono essere fatte risalire addirittura al 1896.40 E data l’identificazione si comprende immediatamente che lo sguardo che non vede che una marmaglia-Gesindel inaffidabile altro non è che quello di Freud. Anzi, visto il soggetto religioso della statua michelangiolesca, possiamo addirittura, volendolo, spingerci a completare la riflessione recuperando la questione – a mio parere comunque secondaria – dell’uomo coronamento della creazione: l’essere umano è disprezzato proprio perché non in grado di tener fede al ruolo in cui Dio lo vuole e preferisce rivolgersi agli idoli.

Ora, considerate queste tracce, quanto pesa l’isolata frase del 1927 citata da Eissler? E quanto contrappesa davvero il quinto aforisma rispetto ai primi quattro?

Note

1 H. Ellenberger, The Discovery of the Unconscious: The History and Evolution of Dynamic Psychiatry (1970), trad. it. La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, 2 voll., vol. I, Bollati Boringhieri Torino, 1976, pp. ix-x.

2 E. Jones, The Life and Work of Sigmund Freud (1953-1957), trad. it. Vita e opere di Freud, 3 voll., Il Saggiatore, Milano 1962.

3 Giusto per dare un’idea della volontà che spingeva in tal senso Jones, si consideri che durante la stesura della biografia di Freud, stava dichiaratamente molto attento a distinguere tra vivi e morti per calibrare la quantità di critiche e giudizi negativi che poteva “concedersi” su di essi senza incorrere in problemi legali. Cfr. Veszy-Wagner, Ernest Jones: The biography of Freud (1966), trad. it. Ernest Jones. La biografia di Freud, in F. Alexander, S. Eisenstein, M. Grotjahn (a cura di), Psychoanalytic Pioneers (1995), trad. it. Pionieri della psicoanalisi, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 90-146, con particolare riferimento a p. 123.

4 E. Jones, op. cit., vol. III, p. 65 e p. 209. Si vedano più in generale le pp. 203-211. Un’accurata disamina della questione, basata sull’esaustivo esame delle fonti, si trova in C. Bonomi, Jones’s Allegation of Ferenczi’s Mental Deterioration: a Reassessment, in International Forum of Psychoanalysis, 7 (1998), pp. 201–206. Rimando inoltre a M. Lualdi, Sei capitoli in cerca d’autore, in S. Ferenczi, O. Rank, Entwicklungsziele der Psychoanalyse. Zur Wechselbeziehung von Theorie und Praxis (1924), trad. it. Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi. Sull’interazione tra teoria e pratica, Youcanprint, Tricase 2017, pp. 123-263, con particolare riferimento alle pp. 184 e sgg.

5 E. Jones, op. cit., vol. III, p. 271.

6 Va però citata una recente e corposa biografia freudiana che riduce chiaramente l’episodio in questione a una “voce”. Peter-André Alt, Sigmund Freud. Der Arzt der Moderne. Eine Biographie, Beck C. H., Monaco 2016, p. 849. A ciò aggiungo, su segnalazione di Giancarlo Gramaglia, le analoghe perplessità espresse da Alain de Mijolla già all’inizio del nuovo millennio. Cfr. A. De Mijolla (a cura di), International Dictionary of Psychoanalysis, Thomson Gate, New York 2005, pp. 681-682, voce “Gestapo”). Questi due precedenti tuttavia, per motivi chiaramente legati alle loro finalità, non vanno a interrogare direttamente la fonte segnalata da Jones, un’intervista rilasciata nel 1953 a Kurt Eissler da Franz Rudolf Bienenfeld, perdendo in tal modo l’opportunità di valutare quanto Jones pieghi quest’ultima al proprio volere.

7 E. Jones, op. cit., vol. II, p. 24.

8 Ivi, p. 414.

9 Ho ripercorso la vicenda in M. Lualdi, A un passo dall’arte, in S. Freud, W. Jensen, “Non è vana curiosità”. Carteggio Freud-Jensen, 1907, Youcanprint, Tricase 2019, pp. 37-172, con particolare riferimento alle pp. 44 e segg.

10 Ma non ovunque: tra le biografie freudiane, si veda nuovamente Alt, op. cit., p. 385, che attribuisce correttamente il ruolo a Stekel, non a Jung.

11 L. Russo, La nascita dell’estetica di Freud, Il Mulino, Bologna 1983, con particolare riferimento alle pp. 183-219. Gli mancava però la documentazione venuta alla luce solo negli ultimi anni e ciò gli impedì di trovare un adeguato sostituto per il ruolo attribuito a Jung da Jones.

12 H. Ellenberger, The story of Anna O.: A Critical Review with new Data, in Journal of the History of the Behavioral Sciences, 8(3) (1972), pp. 267-279. Si veda anche, per quanto più estremo e a volte troppo semplicistico, M. Borch-Jakobsen, Souvenirs d’Anna O.: une mystification centenaire (1995), trad. it. Ricordi di Anna O. La prima bugia della psicoanalisi, Garzanti, Milano 1996.

13 I. Meyer-Palmedo, G. Fichtner, Freud-Bibliographie mit Werkkonkordanz, Fischer Verlag, Frankfurt a. M., 1999, p. 15. Nel 2013 la bibliografia è stata aggiornata con l’aggiunta di circa cinquanta nuove pagine.

14 In Jahrbuch der Psychoanalyse. Beihefte, 2 (1974), p. 101.

15 Musarion, 1871, p. 8.

16 Punto e virgola nell’originale. La versione a stampa in Jahrbuch riporta un punto.

17 “kleinen” nell’originale. La versione a stampa in Jahrbuch non riporta l’aggettivo.

18 “alle” nell’originale. La versione a stampa in Jahrbuch non riporta il pronome.

19 Trascrizione eseguita rispettando gli a capo dell’originale. In corsivo le due parole mancanti nella versione a stampa dello Jahrbuch der Psychoanalyse.

20 L’edizione, americana, con il titolo Infatile Cerebral Paralysis, uscì nel 1968, tradotta e curata da Lester A. Russin per i tipi della Miami University Press, Coral Gables, Florida.

21 Si veda S. Freud, Die infantile Cerebrallähmung (1897), trad. it. La paralisi cerebrale infantile, Youcanprint, Tricase 2020, p. 227 n. 519: il lato del corpo non affetto da paralisi diviene quello affetto da paralisi. La corrispondente pagina dell’edizione tedesca è la 90, quella dell’edizione americana è la 116.

22 In Opere, vol. V, Boringhieri, Torino 1972, 257-336.

23 S. Freud, Der Wahn und die Träume in W. Jensens “Gradiva”, in Gesammelte Werke, 19 voll., vol. VII, Imago Publishing, Londra 1960, pp. 29-125. La citazione si trova a p. 108, il corsivo è mio.

24 Proprio su quest’ultimo punto portava l’attenzione Franco Borgogno due decenni fa: “È d’obbligo riesaminare il contesto più vasto entro cui la psicoanalisi è sorta. Molti dei suoi semi […] appartengono alla tradizione ‘gentile’ ed ‘ebraica’ […] di fine Ottocento. È un secolo ormai lontano da noi; studi e materiali che favoriscano la nostra comprensione dell’ambiente più allargato in cui la straordinaria mente di Freud, uomo e scienziato, si è coltivata sono […] utili […] Ritornare alle nostre radici […] non per santificare un pensiero […] ma per continuare e ri-iniziare da capo quella ricerca così fondante che Freud ha inaugurato”. Si veda F. Borgogno, Presentazione all’edizione italiana, in S. Freud, E. Jones, The Complete Correspondence of Sigmund Freud and Ernest Jones (1908-1939) (1993), trad. it. S. Freud, Corrispondenza con Ernest Jones (1903-1939), 2 voll., vol. I, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 41-53. La citazione è presa dalle pp. 42-44.

25 A. Cavagna Sangiuliani di Gualdana, Grande dizionario italiano-tedesco, tedesco-italiano compilato sui più accreditati vocabolarii delle due lingue ed arricchito di molte migliaja di voci e frasi (volume secondo), Tipografia di Commercio, Milano 1837, voce “Wurm”, p. 1086.

26 Si veda ad esempio la recensione di Freud del 1887, Stephen Mackenzie. “Report on Chorea”, in Centralblatt für Kinderheilkunde, 6 (1887), pp. 122-126. Cfr. S. Freud, Scritti. 1887, Youcanprint, Tricase 2018, p. 172 n. 268.

27 S. Freud, Wege der Psychoanalytischen Therapie (1918), trad. it. Vie della terapia analitica, in Opere, vol. 9, Boringhieri, Torino 1977, p. 28. Riporto quanto commentavo in proposito altrove: nel testo originale Freud raffronta l’oro dell’analisi con il “rame” (“Kupfer”), un metallo, non con il “bronzo” (come vuole la traduzione per i tipi di Boringhieri) che invece è una lega composta solo in parte di rame, unito ad altro metallo come il nichel, il berillio, l’alluminio o lo stagno. Effettivamente, tenendo conto di questa precisazione, l’immagine di Freud acquisirebbe un significato più profondo di quello altrimenti attribuibile e attribuito (una sorta di “diluizione” del valore della psicoanalisi, uno “svalutarla”). Infatti: “Quelli che noi chiamiamo oro o argento in realtà sono leghe, dato che questi metalli, allo stato puro, non possono praticamente essere utilizzati perché troppo malleabili. Per questo motivo l’oro utilizzato in gioielleria, ma anche in medicina… è una lega ottenuta miscelando questo metallo con l’argento, il platino, il nichel o il rame” (cfr. Enciclopedia Treccani, voce “leghe metalliche”, corsivi miei). Il che significherebbe spostarsi dall’idea della svalutazione a quella della maggior efficacia data dall’incontro dell’analisi con altre metodologie”. Cfr. M. Lualdi, Passando da Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015, p. 321 n. 456.

28 S. Freud, Jugendbriefe an Emil Fluß (1872-74) (1969), trad. it. Le lettere del giovane Freud a Emil Fluss (1872-1874), in Rivista di psicoanalisi, 62(4) (2016), p. 1069.

29 K. Eissler, Psychoanalytische Einfälle zu Freuds “Zerstreute(n) Gedanken”, in Jahrbuch der Psychoanalyse. Beihefte, 2 (1974), pp. 103-128.

30 K. Schröter, Maximen und Reflexionen des jungen Freud, in Jahrbuch der Psychoanalyse. Beihefte, 2 (1974), pp. 129-186.

31 Ivi, p. 185. L’ipotesi etimologica di Goethe è riportata anche nel dizionario tedesco di Jacob e Wilhelm Grimm.

32 Già in Eissler, op. cit., p. 115.

33 La frase si trova in S. Freud, Die Zukunft einer illusion (1927), trad. it. L’avvenire di un’illusione, in Opere, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, pp. 482-483.

34 S. Freud, Le lettere del giovane Freud a Emil Fluss (1872-1874), op. cit., p. 1058.

35 “la plebaglia [Gesindel] vive fino in fondo e noi stiamo nelle privazioni”. S. Freud, Briefe 1873-1939 (1960), trad. it. Lettere 1873-1939, Boringhieri, Torino 1960, p. 42.

36 “Nel mio intimo sono profondamente convinto che i miei cari simili – con qualche eccezione – siano delle canaglie [Gesindel]”, cit. in A. Sciacchitano, Il progetto morale della scienza. L’interpretazione scientifica della massima “Non cedere sul desiderio”, p. 8, n. 19.

37 S. Ferenczi, Das klinische Tagebuch, Psychosozial Verlag, Gießen 2013, pp. 171 e 249. Per la versione italiana, cfr. id., Diario clinico, Raffaello Cortina, Milano 1988, pp. 198 e 285, dove viene reso entrambe le volte con “gentaglia”.

38 Per dovere di completezza, ecco i riferimenti delle altre tre. La prima in ordine cronologico si trova ne L’interpretazione dei sogni, in cui non solo si tratta di un’occorrenza figurata, ma soprattutto è parte della citazione di altro autore. Si veda S. Freud, Die Traumdeutung (1899), trad. it. L’interpretazione dei sogni, in Opere, vol. III, Boringhieri, Torino 1966, p. 75, dove è reso con “genia”. Anche la seconda occorrenza è all’interno di una citazione di altro autore e si trova in Analisi della fobia di un bambino di cinque anni. Si veda S. Freud, Analyse der Phobie eines fünfjährigen Knaben (1908), trad. it. Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, in Opere, vol. V, Boringhieri, Torino 1972, p. 586, dove è reso con “gente di quella specie”. La terza si trova in una lunga nota di L’inizio del trattamento, ma non mi pare inviti, per il nostro discorso, a particolari riflessioni. Cfr. S. Freud, Zur Einleitung der Behandlung (1913), trad. it. L’inizio del trattamento, in Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino 1975, p. 345 n. 1, dove è reso con “canaglie”. In una più recente e accurata traduzione Davide Radice impiega “gentaglia”.

39 S. Freud, Der Moses des Michelangelo (1913), trad. it. Il Mosè di Michelangelo, in Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino 1975, p. 301, parentesi quadra mia. A differenza dell’edizione italiana, in cui “marmaglia” compare due volte, in quella tedesca “Gesindel” si ha una sola volta, corrispondente al primo “marmaglia”.

40 Rimando per questo alla mia introduzione al testo di Freud del 1893 sulle diplegie cerebrali infantili: S. Freud, Zur Kenntniss der cerebralen Diplegien des Kindesalters (1893), trad. it. Per la conoscenza delle diplegie cerebrali dell’infanzia, Youcanprint, Tricase 2019, p. 63 n. 84 e p. 67 n. 89.

 

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