L’opinione che Sigmund Freud fosse positivista è un luogo comune da sfatare. Freud fu empirista ma non in modo ingenuo. Come Karl Popper, suo concittadino, non riteneva che le teorie derivassero dai fatti, ma che li precedessero; anche se formulate in modo impreciso, non lo erano tanto da impedire la registrazione delle osservazioni fattuali. In altri termini i fatti empirici confermano idee preconcette, che in questo passo, che è l’incipit di Pulsioni e loro destini, Freud non esita a chiamare con il loro nome: convenzioni. Da dove venivano a Freud tali pre-concezioni? La mia congettura è: dalla medicina, che presuppone cause morbose per ogni evento morboso. Le pre-concezioni di Freud si chiamano pulsioni.
Mancò a Freud di compiere il secondo passo: se le teorie sono convenzioni, si possono o confutare o modificare. Freud non parlò mai di possibili confutazioni dei propri presupposti teorici. La confutazione scientifica non rientrava nelle sue prospettive intellettuali. In questo senso l’epistemologia freudiana non è moderna, ma antica, per la precisione aristotelica. La scienza è per Freud regolata da una causa convenzionale – formale, direbbe Jacques Lacan – che è inconfutabile. Il risultato è che la metapsicologia freudiana, basata sulle convenzioni pulsionali, che costituiscono la causalità psichica, non è scienza moderna ma antica.
Certo, Freud modificò la propria metapsicologia pulsionale introducendo la pulsione di morte. Ma non ne cambiò l’impianto eziologico. Le pulsioni si trasformarono da cause efficienti, nel campo sessuale, in cause finali, nel campo esistenziale: alla fine regolano la ripetizione vitale dell’identico, finché c’è vita. L’approccio di Freud, da quando cestinò il Progetto per una psicologia scientifica, fu e rimase sempre vitalistico, addirittura ilozoistico con l’Eros e l’Ananke di Empedocle.
La narrazione freudiana è ancora valida? Si può aggiornare in tempi postmoderni, poco inclini alle grandi narrazioni?
Più volte abbiamo sentito sostenere l’esigenza che una scienza si debba costruire su concetti chiari e nettamente definiti. In realtà nessuna scienza, neppure la più esatta, inizia da definizioni siffatte. Il vero e proprio inizio dell’attività scientifica consiste piuttosto nella descrizione di fenomeni, che sono in seguito raggruppati, ordinati e messi in connessione tra loro. Già nella descrizione non si può però fare a meno di applicare al materiale determinate idee astratte, che si prendono da qualche parte, e non certo solo dalla nuova esperienza. Tali idee – destinate a diventare in seguito i concetti fondamentali della scienza – sono ancor più indispensabili nell’ulteriore elaborazione della materia. All’inizio hanno necessariamente un certo grado di indeterminatezza; non si può parlare di chiara delimitazione del loro contenuto. Finché si trovano in questo stato, ci si intende sul loro significato riferendosi ripetutamente al materiale dell’esperienza da cui sembrano ricavate, ma che in realtà è ad esse subordinato. A rigore queste idee hanno dunque il carattere di convenzioni, benché tutto deponga a favore del fatto che non siano state scelte arbitrariamente, ma siano state determinate in base a relazioni significative con la materia empirica, che supponiamo di indovinare prima ancora di poterle riconoscere e dimostrare. Soltanto dopo un’esplorazione approfondita del corrispondente ambito di fenomeni si può coglierne più distintamente i concetti scientifici fondamentali e modificarli progressivamente in modo tale che essi da una parte diventino utilizzabili in un contesto più ampio e dall’altra siano del tutto esenti da contraddizioni. Solo allora sarà forse giunto il momento di farli finire in definizioni. Tuttavia, il progresso della conoscenza non consente definizioni rigide. Come l’esempio della fisica insegna in modo luminoso, anche i “concetti fondamentali”, stabiliti in definizioni rigorose, subiscono un costante mutamento di contenuto.1Un tale concetto fondamentale, per il momento ancora piuttosto oscuro, di cui tuttavia non possiamo fare a meno in psicologia, è quello di pulsione. Proviamo a riempirlo di contenuto, partendo da diversi punti di vista.
Note
1 Una concezione analoga aveva espresso Freud in Introduzione del narcisismo, assegnando tuttavia il primato all’osservazione empirica: “Rappresentazioni come quelle di libido dell’Io, energia delle pulsioni dell’Io e così via, non sono di certo né particolarmente perspicue né abbastanza ricche di contenuto; la teoria speculativa delle relazioni che le riguardano vorrebbe innanzitutto darsi come fondamento concetti rigorosamente delimitati; è appunto questa, credo, proprio la differenza fra una teoria speculativa e una scienza costruita sulla spiegazione dell’empiria. Quest’ultima non invidierà alla speculazione il privilegio di una fondazione precisa e logicamente inattaccabile; al contrario si accontenterà di buon grado di alcuni sfuggenti e nebulosi principi di fondo, quasi non concettualizzabili, sperando di chiarirli nel corso dello sviluppo, pronta a sostituirli eventualmente con altri. Queste idee non sono infatti il fondamento della scienza, su cui tutto il resto poggia; solo all’osservazione tocca questo. Non sono il punto più basso, ma piuttosto il più alto dell’intera costruzione e si possono sostituire o asportare senza correre il rischio di danneggiarla”. Cfr. S. Freud, Zur Einführung des Narzißmus, in Sigmund Freud Gesammelte Werke, 16 voll., vol. X, Imago, Londra 1946, p. 142.
Bibliografia
S. Freud, Zur Einführung des Narzißmus (1914), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, 16 voll., vol. X, Imago, Londra 1946, pp. 137-170.
S. Freud, Triebe und Triebschicksale (1915), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. X, Imago, Londra 1946, pp. 209-232.
Di seguito il testo originale: