Del meccanicismo o il pensiero della variabilità

Le costruzioni nella scienza sono variabili

Una teoria scientifica si costruisce normalmente stabilendo certe correlazioni tra variabili. La costruzione si chiama modello e non presuppone che ci sia alcunché di ontico da prendere a modello. Basta che il modello presenti relazioni vere per una certa semantica. In questa sede mi occupo di definire la nozione di modello meccanico, in particolare in psicanalisi.

Ho introdotto subito il significante principale del mio discorso: variabili. Le correlazioni sono a loro volta delle variabili; si chiamano funzioni o applicazioni di una variabile rispetto a un’altra; le funzioni sono oggetti epistemici tali che a ogni valore di una certa variabile assegnano un valore ben determinato, e uno solo, di un’altra variabile. Alle funzioni si potrebbe applicare il motto di Nietzsche: “transvalutazione di tutti i valori” (Umwertung aller Werte). Dal punto di vista epistemico le applicazioni sono transfert di sapere: applicano il sapere codificato in una variabile nel sapere di un’altra; se sai cos’è un numero, sai cos’è un numero pari; te lo dice l’applicazione che fa passare dal numero n al numero 2n. Insomma, la scienza si fa attraverso valori, non attraverso rappresentazioni. La scienza produce nuovi valori da valori precedenti; non si preoccupa di conformarsi a quel che c’è, soprattutto perché quel che c’è ed è percepito dai sensi come ente è per lo più apparenza – un fenomeno, un’illusione, che poco ha a che fare con la realtà. La percezione di ciò che c’è, così come la viviamo, è solo un meccanismo di adattamento all’ambiente, selezionato dall’evoluzione naturale nell’arco di milioni di anni come il più conveniente alla sopravvivenza e alla riproduzione.

Dadi
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Cos’è una variabile, prima di tutto? È il luogo del diverso, dove i singoli valori della variabile, tra loro diversi, sottostanno a certe condizioni di vicinanza o prossimità; sono queste le condizioni che conferiscono al luogo della diversità una struttura spaziale e trasformano l’insieme dei diversi valori della variabile in uno spazio topologico. Il discorso si applica a se stesso: la stessa diversità può essere topologizzata in modi diversi: il modo più diverso è quello per cui ogni cosa è uguale a se stessa e diversa dalle altre (topologia discreta o dell’identità e delle differenze); il modo meno diverso è quello per cui tutte le cose sono una cosa sola (topologia indiscreta o dell’identificazione all’uno o topologia dell’orda primitiva secondo Freud). Nella topologia sottostante a una variabile è codificato un sapere – il sapere della diversità – che le applicazioni trasferiscono da un’applicazione all’altra. Tra le varie applicazioni topologiche sono particolarmente importanti le applicazioni continue, che nel passaggio da una variabile all’altra conservano in toto o in parte la struttura topologica.

Secondo una prima classificazione di base le topologie possono essere di due tipi: quantitative o qualitative. Una topologia quantitativa (metrica) si costruisce definendo una funzione distanza che a ogni coppia di punti dello spazio associa un numero reale maggiore di o uguale a 0, cioè definendo una certa applicazione, con certe proprietà, dell’insieme delle coppie di punti dello spazio sull’insieme dei numeri reali non negativi; un esempio di topologia metrica è quella discreta con la distanza che assegna il valore 1 a coppie formate da elementi diversi e 0 a coppie formate dallo stesso elemento. Le topologie qualitative, di cui è un esempio la topologia indiscreta, non hanno una distanza; generalizzano il discorso delle coppie, prendendo in considerazione insiemi, eventualmente infiniti, di elementi. Tipicamente, in un insieme si introduce una topologia qualitativa definendo la sua famiglia caratteristica, cioè un particolare insieme di suoi sottoinsiemi. L’insieme di partenza viene detto insieme sostegno della topologia. Alla sua famiglia caratteristica si richiede solo che sia chiusa per unione e intersezione finita dei suoi elementi. Questi sono detti aperti della topologia o dello spazio topologico, che è formalmente definito dalla coppia ordinata: [insieme sostegno, famiglia caratteristica]. Per gli aperti vale che l’unione di aperti è un aperto e l’intersezione finita di aperti è un aperto. Gioca così in topologia l’articolazione fondamentale della scienza moderna: il rapporto tra finito e infinito.

L’antichità greco-latina, la sua sapienza fin troppo venerata da un certo umanesimo di maniera, non ebbe familiarità con le variabili, tanto meno con le topologie (si noti il plurale) e per nulla con l’infinito, che era confuso con l’illimitato o l’indeterminato. Né in greco né in latino esiste il sostantivo “variabile”. Euclide parla di quantità e limita il confronto tra quantità alla proporzionalità, cioè a una classe di funzioni che nascono in ambito metrico, o di misura, e che oggi si chiamano funzioni lineari. Di questa inibizione a pensare la variabilità resta traccia nella lingua tedesca che dice Grosse, “grandezza”, per dire “variabile”, fuorcludendo dal discorso tutta la variabilità qualitativa.

Variabili, equazioni, simmetrie

La nozione di variabile emerge solo in epoca scientifica nella nuova matematica, durante il laborioso passaggio dalla geometria euclidea all’algebra. In algebra si trattano nuove “cose epistemiche”, che anticamente non si conoscevano: le variabili, appunto, e le equazioni. Il problema algebrico è la risoluzione delle equazioni: si tratta di trovarne le radici, cioè quei particolari valori della variabile x, ora detta incognita, i quali, inseriti nell’equazione f(x) = 0, la soddisfino. Per il seguito del discorso basta ritenere che un’equazione stabilisce una simmetria tra certi valori della variabile. Per esempio, le radici dell’equazione algebrica di secondo grado x2 – 1 = 0, sono +1 e –1, simmetrici rispetto a 0. Lo studio formale di queste simmetrie ha dato origine alla teoria algebrica dei gruppi, che è diventata indispensabile per lo sviluppo della meccanica quantistica. Non approfondisco l’argomento, ritenendo essenziale per il discorso sul meccanicismo solo la nozione di simmetria, qualitativamente intesa. Per esempio, l’equazione a = b è una delle simmetrie più semplici tra due cose concettualmente diverse.

Concettualmente, il problema di risolvere un’equazione consiste nell’invertire l’applicazione f: dato il valore di arrivo 0, si tratta di individuare l’insieme dei valori di partenza della variabile x, che hanno lo zero come corrispondente nell’applicazione f. Oggi sarebbe impensabile lo sviluppo di una disciplina scientifica senza ricorso a variabili, ad applicazioni tra variabili, ad applicazioni di applicazioni, a equazioni che le variabili (le applicazioni) devono soddisfare. La scienza passa dall’incognito al noto operando con variabili, legate tra di loro da equazioni che i fatti possono smentire. A rigore non si può eseguire nessuna confutazione, che stabilisce la diversità là dove si era supposta l’identità, se prima non si era supposta l’identità per alcuni valori di una variabile, cioè se prima non si era scritta un’equazione. La scienza procede postulando delle simmetrie, che cerca di smentire sperimentalmente. Per esempio, la quasi certa recente rilevazione del bosone di Higgs smentirebbe la teoria fisica delle particelle supersimmetriche.

Senza variabili non si danno simmetrie, quindi non si danno smentite; si danno solo conferme senza discussione. Ma con le sole conferme, per quanto numerose, non si fa scienza: esclusivamente confermando non si costruiscono altro che dei corpi dottrinari, basati sull’adeguamento della cosa all’intelletto, “sostenendo” l’insegnamento magistrale. Così si dice del maestro: “sostiene Freud”, “sostiene Lacan”, come Tabucchi scriveva Sostiene Pereira. Ma per la scienza può essere ancora più interessante quel che non sostiene questo autore o quell’altro. In generale la scienza, a diversità della filosofia, non ha un approccio autoriale. L’autore scientifico non è mai un individuo, ma è sempre collettivo.

Purtroppo la psicanalisi è andata strutturandosi in senso più dottrinario che scientifico. Nell’originale formulazione freudiana, la teoria psicanalitica non usa la nozione di variabile, benché Freud si sia arrischiato a postulare un “fattore quantitativo” per la sua forsennata psicodinamica. Anche Lacan, nonostante i suoi pasticci topologici, altrettanto se non più forsennati delle topiche freudiane, non usa esplicitamente la nozione di variabile. La usa implicitamente attraverso la nozione filosofica di “altro”, corrispondente a diverso, declinato e scritto in almeno due modi, con l’a piccola (immaginario) e con l’A grande (simbolico). L’approccio lacaniano alla variabilità rimane filosofico e in particolare logocentrico. La variabilità dell’altro, immaginaria e/o simbolica, è regolata dal significante. Il termine “significante” è mutuato dalla linguistica di de Saussure, ma non è usato da Lacan in senso strettamente linguistico. Nel suo uso c’è una evoluzione interna al lacanismo. Il primo Lacan usa il significante in funzione del desiderio, il secondo Lacan in funzione del godimento.

Nel primo approccio la connotazione è più filosofica che nel secondo. Il significante rappresenta il soggetto per un altro significante. Siamo ancora dentro alla filosofia della rappresentazione, la quale presuppone che il soggetto, o l’Io, sia un soggetto della rappresentazione. Tuttavia, non si tratta di una rappresentazione cognitiva ma di desiderio, il desiderio dell’Altro. Tale rappresentazione è dominata da un significante privilegiato, il significante fallico, grazie al quale tutti gli altri significano il desiderio.

Nel secondo approccio il logocentrismo si indebolisce. Si passa dalla filosofia della rappresentazione a quella della produzione: il significante produce godimento. Il godimento non è unico; si scinde in godimento fallico e godimento dell’Altro, il primo fuori dal corpo, il secondo dentro al corpo, il primo prevalentemente maschile, il secondo femminile. In questa seconda declinazione, che rimane più confusa che incompleta, il significante esce dalla sfera della rappresentazione e diventa materia del godimento. Ma non si può dire molto di più se non si vuole cadere nelle astruserie milleriane sui sei paradigmi del godimento.

Tutto sommato, grazie a quell’abbozzo di variabilità in essa contenuto, la teoria lacaniana rimane prescientifica ma a un livello più vicino alla scientificità di quello freudiano. La psicanalisi è “in cammino verso la scienza”. Arriverà alla scienza quando padroneggerà meglio la nozione di variabilità, cominciando per esempio a pensare alla variabilità dell’Edipo, destituendo il mito dalla sua fissità normativa, cui corrisponde la fissità del rito psicanalitico.

Determinismo vs meccanicismo

Il passo successivo all’introduzione della variabilità è l’indebolimento del determinismo, che da Freud in poi domina la teorizzazione psicanalitica.

Cosa si intende per determinismo?

Rispondo citando e integrando dal Dizionario di filosofia di Abbagnano (1971):

“Con questo termine relativamente recente (Kant l’adopera tra i primi in Religion, I) si intendono due cose:

1. l’azione condizionante o necessitante di una causa o di un gruppo di cause [nel produrre un effetto];

2. la dottrina che riconosce l’universalità del principio causale [o principio di ragion sufficiente]”.

Il programma di ricerca che qui si va delineando indebolisce entrambi i punti. Si presuppone che il principio di ragion sufficiente non sia l’unico principio di costruzione di modelli scientifici della psiche. Si ammette, cioè, che:

1’. non esista sempre l’azione necessitante della causa psichica, cioè si ammette l’esistenza di effetti (fenomeni) psichici contingenti o spontanei;

2’. l’eziologia non sia l’unico modo di comprensione della Realität (la realtà psichica) che Freud contrappone a Wirklichkeit (realtà effettuale); esso vale certamente in ambito giuridico (per stabilire la responsabilità penale) o medico (per diagnosticare e curare gli agenti morbosi), ma non vale in generale nella scienza, e in particolare nella scienza della psiche. Nelle scienze cosiddette “dure” esistono fenomeni spontanei (contingenti e variabili), come il moto inerziale in fisica classica, il decadimento radioattivo in fisica quantistica, le mutazioni genetiche e la formazione delle specie in biologia. Il problema è come e con quale principio alternativo sostituire il principio di ragion sufficiente; come e con che cosa si sostituisce lo scire per causas?

Anticipo la conclusione affermando che nella scienza moderna il determinismo eziologico è sostituito dal meccanicismo, intendendo con questo una duplice simmetria:

1. l’azione della materia sulla materia; è il principio newtoniano di azione e reazione della materia che si muove nello spazio e interagisce con altra materia;

2. l’azione del simbolico sul simbolico; è il principio meccanico di simmetria, per cui certi simboli sono posti in simmetria con altri simboli. Per esempio, il principio archimedeo della leva eguaglia (cioè simmetrizza) i valori di due variabili, i due momenti: il momento della resistenza e il momento della potenza.

In Freud non funziona il meccanicismo ma funziona sempre il determinismo in almeno due varianti: il determinismo mitologico, legato all’Edipo, che è anche normativo attraverso l’avatar dell’Edipo, il Super-Io, e il determinismo pulsionale, per cui le pulsioni sono o cause efficienti della soddisfazione sessuale o cause finali dell’equilibrio psichico. Neppure in Lacan funziona il meccanicismo, ma predomina il determinismo significante, per cui il significante rappresenta il soggetto per un altro significante; a questo si sovrappone il determinismo oggettuale, o dell’oggetto a, detto appunto oggetto-causa del desiderio. Ultimamente, in Lacan funziona il determinismo della verità soggettiva, intesa come causa che determina il soggetto in afanisi.

Per indebolire il determinismo in tutte le sue varie declinazioni, la nozione di variabile è essenziale, in quanto sospende l’univocità; toglie l’univocità del passaggio dalla causa (dal gruppo di cause nel sovradeterminismo) all’effetto; toglie univocità al simbolismo, per cui dietro a un simbolo (dietro al fenomeno considerato simbolicamente) c’è sempre un referente unico, concreto o astratto (per gli uomini di fede dio, per i filosofi il noumeno, per gli psicanalisti il fallo). La variabile non ha dietro di sé nulla di concreto se non un campo di variabilità, indefinito nei suoi singoli argomenti, anche quando questi sono organizzati in qualche topologia.

Certo, è più facile pensare in termini di simbolismo che di variabilità, al punto tale che alcuni biologi sono oggi indotti a speculare intorno all’esistenza di qualche selezione darwiniane che avrebbe favorito l’evoluzione del simbolismo. Di fatto, immaginare un predatore dietro il movimento di un ramo è più vantaggioso che non immaginarlo: il sospetto porta a innocui falsi positivi, il non sospetto a falsi negativi esiziali. Che sia questa la “causa” del radicamento cognitivo del pensiero causale nel senso filosofico e comune e nell’immaginario collettivo che vede cause dappertutto?

La variabile è il luogo del diverso, ho detto sopra. Questo è un discorso negativo: la variabile è il luogo di qualcosa che non è uguale a qualcos’altro. Cosa si può dire in positivo? Comincio col dire che la variabilità è essenziale all’introduzione del meccanicismo. Non si può pensare il meccanicismo senza la variabilità perché, come dico appena sotto, senza la variabilità non si può pensare la simmetria. Come effettivamente si può pensare un insieme di variabili in modo meccanico? Quando delle variabili diventano componenti di una macchina?

Il modo generalissimo per rendere meccanicistico un discorso dotato di variabili è attraverso la nozione di simmetria. Le variabili diventano meccaniche quando ospitano delle simmetrie. L’abbiamo già visto a proposito della leva archimedea, che pone in simmetria la potenza con la resistenza. Non svolgo questo punto in tutta la sua generalità, perché dovrei scrivere un libro, ma mi limito a un paio di esempi concreti ma paradigmatici per mostrare come un processo indeterministico, come il lancio di un dado o di una monetina, possa essere considerato meccanico, anche se non è “determinato” l’esito della singola prestazione della macchina, nel caso il lancio del dado o della monetina, che nel loro moto seguono le leggi deterministiche di Newton, ma il loro risultato non è deterministico, cioè non è determinato dalle condizioni iniziali del lancio. (Qui ci sarebbe da aprire un discorso sull’aspetto caotico del processo di lancio, che rende la conclusione del processo largamente indipendente dal suo esordio.)

Meccanicismo indeterministico

Gli esempi che introdurrò hanno un valore didattico; intendono far decadere l’equazione spontanea nel senso comune, perché radicata da secoli di cattiva filosofia, soprattutto la filosofia basata sul principio di ragion sufficiente, per cui “meccanico” è sinonimo di “deterministico”, cioè l’effetto meccanico è sempre determinato da una causa. Non è sempre così.

Il dado o qualunque altro dispositivo aleatorio sono sistemi meccanici ma non deterministici: il lancio dello stesso dado adesso produce l’1, poi il 5, senza alcuna correlazione tra i due eventi. Questo non vuol dire che un dispositivo indeterministico non dia mai risultati certi. Qualunque smartphone o navigatore sono macchine indeterministiche che danno praticamente sempre risultati altamente attendibili, cioè con una probabilità di errore inferiore a 1 su 10 elevato alla ventesima potenza (o più).

Il dado è una macchina indeterministica composta da una singola variabile aleatoria, i cui valori sono 1, 2, 3, 4, 5, 6. La topologia usuale per questa variabile è quella discreta, formata dalla base di aperti [1], [2], [3], [4], [5], [6]. Essi sono considerati gli eventi elementari del processo aleatorio, a ciascuno dei quali è assegnata la stessa probabilità 1/6. La probabilità che lanciando un dado esca l’1, evento [1], è 1/6; la probabilità, che lanciando un dado esca un valore diverso da 1, evento [2, 3, 4, 5, 6], è 5/6. Si vede la simmetria? 1/6 e 5/6 sono simmetrici rispetto a ½; infatti, la distanza di 1/6 da ½ è uguale alla distanza di 5/6 da ½. Il meccanicismo di questo processo aleatorio è tutto in questa simmetria. Che è un fatto generale: ogni evento è simmetrico in probabilità rispetto al proprio complementare; perciò ogni sistema stocastico è meccanico alla stessa stregua della leva di Archimede; il fulcro della leva stocastica è ½.

Mi soffermo, perché utile al passaggio dal versante ontologico a quello epistemico, sul caso ancora più semplice del lancio di una monetina. Una monetina è una macchina indeterministica composta da una singola variabile aleatoria a due valori: T(esta), C(roce). Qual è la probabilità che lanciando una monetina esca T? Non lo so; la monetina potrebbe essere polarizzata in un senso a me sconosciuto a favore di T o di C; nell’ignoranza scrivo p. Qual è la probabilità che lanciando una monetina esca C? Non lo so più di prima; nell’ignoranza scrivo q. Ma in via teorica so qualcosa: il calcolo delle probabilità mi insegna che p + q = 1. L’equazione vuol semplicemente dire che si può stare certi che lanciando una monetina o uscirà T o uscirà C, tertium non datur. Ma l’equazione dice qualcosa di più; dice che p e q, qualunque essi siano, sono valori simmetrici rispetto a ½ come lo sono p e 1 – p. (Si verifica facilmente l’identità: ½ – p = 1 – p – ½, cioè ½ = 1 – ½). Il meccanicismo del lancio di una monetina è tutto qui: non so quale sarà il risultato del singolo lancio, ma so che i risultati dei singoli lanci, T o C, hanno probabilità simmetriche rispetto a un particolare valore, ½, quali che esse siano. Quindi la monetina è un dispositivo meccanico anche se non deterministico.

Si sa che Freud non ammetteva la probabilità all’interno della propria metapsicologia. Se dici un numero a caso, per Freud dietro c’è sempre il movente edipico. Il fatto è strano perché, per indicare le idee che vengono spontaneamente in mente, le cosiddette libere associazioni, Freud usa il termine Einfälle, “ciò che cade dentro la mente”, assai vicino a Zufall, “caso”.

Ma se non esiste il caso, non esiste l’errore, essendo tutto giustificato. Questo è un piccolo paradosso. Il freudismo ha depositato nel linguaggio corrente l’espressione “lapsus freudiano”. Anche i parrucchieri sanno cos’è un lapsus freudiano. Non sanno però che il lapsus freudiano non è un errore, perché è sempre determinato da un’intenzione inconscia e quindi è giusto; tutto ha la propria verità, tutto è necessario, non esiste contingenza in Freud. Sembra di essere tornati ai tempi antichi quando Aristotele elucubrava sui futuri contingenti. “Domani ci sarà una battaglia navale o domani non ci sarà una battaglia navale”. Ma per il principio del terzo escluso si deve dire che o è necessario che ci sia una battaglia navale o è necessario che non ci sia. Con questa antica sapienza deterministica, che giustifica tutto e il contrario di tutto, il moderno sapere scientifico, che è incompleto e probabilistico, ha chiuso.

A proposito di probabilità, cos’ha di particolare il valore di probabilità ½?

È una misura epistemica; misura il massimo della mia ignoranza. Se sapessi che la monetina è polarizzata, per esempio che p = ¾, saprei qualcosa, cioè che è più facile che esca T che C; se invece la monetina è fair, non so nulla; o meglio, so soltanto che non è più facile che esca T che C. È questo un punto dove il meccanicismo, cioè la simmetria, si aggancia all’epistemologia, cioè al rapporto tra sapere e non-sapere. Questo punto può essere utile al teorico della psicanalisi, qualora sia disposto ad abbandonare considerazioni rigidamente deterministiche e ad affrontare il campo della moderna scientificità. La quale, mi preme ricordarlo, non è il luogo delle certezze categoriche, perché metafisiche; la scienza non ha una metafisica; la scienza è il luogo di una pratica collettiva che opera con l’incertezza fisica per guadagnare qualche “metacertezza” ancora fisica, ovvero qualche certezza sulle incertezze, più confutando delle congetture che confermando dei dogmi.

Dal meccanicismo al sapere

Il discorso che precede mostra la possibilità di passare per via probabilistica dal meccanicismo (la simmetria) al sapere. Il problema psicanalitico è l’inverso: è possibile passare dal sapere al meccanicismo? Cioè, in psicanalisi ci si chiede o ci si dovrebbe chiedere: è possibile costruire una teoria meccanica del sapere inconscio? Se sì, per quale via?

Se siamo freudiani, magari non ortodossi ma neppure eretici (tertium datur), cioè senza condividere il determinismo che Freud ha sparso lungo tutta la sua metapsicologia, disponiamo di un solido punto di partenza; è la congettura che fonda tutto il discorso freudiano al di là dei suoi freudismi: esiste l’inconscio. L’inconscio è una struttura epistemica, cioè riguarda il sapere. L’Unbewusst freudiano è un-bewusst, cioè l’inconscio è non saputo, prima che inconsapevole o inconscio. La particolarità, forse addirittura la singolarità, della costruzione freudiana, è proprio che l’inconscio, prima ancora di essere strutturato come un linguaggio, è strutturato come un sapere che non si sa di sapere. Non è una contraddizione come se dicessi: l’inconscio è un essere che non è un essere. In campo epistemico, a differenza del campo ontologico, la negazione non sempre nega e il principio di non contraddizione è parzialmente sospeso. Il sapere che non si sa di sapere è ancora un sapere, che ha proprie leggi simil-linguistiche, in realtà applicazioni topologiche di continuità tra spazi epistemici diversi, individuate da Freud sin dai tempi della Traumdeutung: le leggi di condensazione e spostamento del cosiddetto processo primario.

Bene, stante il discorso precedente, per introdurre il meccanicismo nel discorso freudiano potrebbe bastare introdurre una simmetria nel sapere inconscio, concepito come una variabile. Come?

Qui il discorso si fa delicato, perché la simmetria in questione non può essere una simmetria di ordine metrico o quantitativo, come quella della leva di Archimede o delle probabilità di eventi complementari, simmetriche rispetto a ½. Occorre una simmetria più “debole”, cioè qualitativa.

Molto probabilmente di simmetrie deboli per meccanizzare – non è una parolaccia! – il discorso dell’inconscio ce n’è più d’una. Quella che propongo di seguito è quella che, quasi per caso, ho trovato io (o meglio ho “ritrovato”, perché era già stata pensata altrove, fuori dalla psicanalisi, nella matematica intuizionista). Altri potranno trovarne altre, se smettono di applicare le dottrine in cui sono stati indottrinati sin da piccoli nelle scuole di formazione e si mettono umilmente e democraticamente a fare della ricerca scientifica. Per mio conto, io non voglio imporre ad altri la mia trovata come dottrina incontrovertibile. In un collettivo di pensiero scientifico non esistono verità dogmaticamente precostituite e calate dall’alto ex cathedra, ma tutti lavorano alle verità di tutti per confermarle o meglio per confutarle.

La mia trovata è stata di far saltare la rigida simmetria logica tra vero e falso. Non tanto paradossalmente opero quella che in fisica classica si chiama “rottura di simmetria”. Un corpo che inizialmente dispone di tutte le simmetrie direzionali, quando si mette in moto rompe la simmetria: imbocca, cioè, una certa traiettoria in una certa direzione e non può più prendere altre direzioni; oppure, un corpo, per esempio un pendolo, che può oscillare in tutti i piani, dopo la rottura della simmetria può oscillare in un piano solo; è questa la proprietà che dimostra la rotazione terrestre: il piano di oscillazione del pendolo non ruota, la terra sì. Nel caso della logica succede qualcosa di simile: a tutti gli effetti, la rottura della simmetria iniziale tra vero e falso porta a una simmetria più debole, quindi a una logica diversa da quella di partenza.

Detto altrimenti, la logica proposizionale classica, algebrizzata da Boole nel XIX secolo e tuttora applicata ai nostri computer, è pesantemente simmetrica rispetto ai valori di verità, vero o falso. Vero e falso sono praticamente indistinguibili: le tautologie, enunciati sempre veri, sono tante quante le contraddizioni, enunciati sempre falsi. Su questa simmetria si può dire di più. Se, dato un enunciato, formato da certe variabili logiche, cioè da variabili i cui valori sono i valori di verità vero o falso, si cambia la valutazione semantica, sostituendo al vero il falso e al falso il vero per ogni variabile logica, in campo sintattico si ottiene un enunciato equivalente, trasformando ogni affermazione in negazione e ogni alternativa in congiunzione; l’esempio tipico è il teorema di De Morgan, dove l’alternativa tra A e B equivale alla negazione della congiunzione tra non A e non B. Questa simmetria si chiama dualità; essa fa sì che tutta la logica proposizionale classica si possa scrivere con due soli operatori: l’alternativa e la negazione o la congiunzione e la negazione. Il fatto era ben noto a Lacan che, nel seminario sulla logica del fantasma, cincischiò a lungo con tale legge, proponendo i suoi aforismi sul cogito cartesiano: penso dove non sono e sono dove non penso, peraltro più che giustificati in ambito psicanalitico, anche senza il supporto di De Morgan.

Un’annotazione volante prima di tornare a parlare di logica dell’inconscio. La logica classica è regolata da una simmetria tanto forte, quella di Boole, da essere determinista. I computer attuali che si basano su di essa sono deterministi. Ciò li rende vulnerabili… all’indeterminismo. Gli algoritmi di sicurezza per criptare i dati sono basati su algoritmi deterministici. Il primo e più usato è l’algoritmo RSA, basato sulla difficoltà di scomporre in fattori primi un numero molto grande, diciamo di 200 cifre. Domani un computer quantistico, sfruttando l’indeterminismo proprio della meccanica quantistica, potrà forzare quei codici. Disponendo di celle di memoria capaci di impilare centinaia, migliaia e forse più stati quantistici, è in grado di sviluppare in parallelo grandi quantità di calcolo, quindi fattorizzando un numero anche molto grande in poco tempo e forzando il codice corrispondente. Paradossalmente, sfruttando l’indeterminismo, insito nella realtà quantistica, i computer di domani potranno realizzare procedure di crittografia veramente inviolabili anche per un computer quantistico. Indeterminismo contro determinismo, due a zero.

Indebolire il meccanicismo logico

Fondamentalmente, la logica classica si basa su tre principi ontologici millenari:

1. il principio di identità, per cui un enunciato non può essere contemporaneamente vero e falso;

2. il principio di non contraddizione, per cui un enunciato e la sua negazione non possono essere contemporaneamente veri;

3. il principio del terzo escluso, per cui un enunciato e la sua negazione non possono essere contemporaneamente falsi.

Questi principi istituiscono una simmetria tra vero e falso che serve egregiamente all’ontologia parmenidea, o binaria, dell’essere che è (ed è vero) e del non essere che non è (ed è falso). Tale ontologia – non posso non farlo notare – proprio perché basata su una simmetria forte, è anch’essa un discorso meccanicistico, addirittura deterministico. La simmetria forte, istituita dai suddetti principi, tuttavia, si adatta meno bene all’epistemologia dove, se si interpreta il vero come “dimostrato” e il falso come “non dimostrato”, i principi ontologici cessano di valere congiuntamente. In campo epistemico il principio del terzo escluso decade da legge universale. Infatti, esistono molti enunciati scientifici indecidibili, che non possono né essere dimostrati come veri né confutati come falsi. Un esempio? Quello classico di Brouwer: l’esistenza della successione di cifre 0123456789 nell’espansione decimale di π. Esiste? No, perché non la si è ancora riscontrata; non esiste? No, perché nessun teorema ne vieta l’esistenza. Non cito l’esempio di Brouwer come curiosità ma per segnalare l’intrinseca incompletezza del sapere scientifico. Incompletezza per altro confermata e rigorosamente dimostrata dai teoremi limitativi sintattici e semantici di Gödel e di Tarski.

All’inizio del secolo scorso Brouwer propose una logica, da lui detta logica intuizionista, dove il principio del terzo escluso è sospeso, cioè non è universalmente valido, ma continua a valere in universi finiti. Con questa mossa la classica simmetria forte tra vero e falso si rompe. L’algebra sottostante alla logica intuizionista non è più l’algebra di Boole, ma l’algebra di Heyting, allievo di Brouwer, dove al posto della negazione compare la pseudonegazione, un’operazione in generale non più finitaria e “immediata” come la negazione classica: non A è vero, se A è falso; non A è falso, se A è vero. In logica intuizionista, come nella ricerca scientifica e come nell’inconscio, per negare effettivamente, cioè per confutare in modo non isterico qualunque affermazione, ci vuole tempo.

Ci sarebbe molto da dire sulla mossa di Brouwer, sulle sue ascendenze cartesiane, sulla posizione del falso come non saputo (unbewusst, come nell’inconscio), sul costruttivismo che ne discende, per cui è vero solo ciò che può essere verificato in un modello costruito in modo meccanico, cioè nel rispetto di qualche simmetria. Ne ho parlato nel mio ultimo libro: Il tempo di sapere. Saggio sull’inconscio freudiano (Mimesis, Milano 2012). Qui mi limito a segnalare alcuni effetti meccanici, cioè alcuni teoremi, conseguenti all’indebolimento intuizionista della simmetria tra vero e falso.

La simmetria si è rotta

Grazie alla rottura della simmetria tra vero e falso si possono far interagire le due logiche, la classica e l’intuizionista, in modo fecondo. Una volta individuate le tesi classiche ma non intuizioniste, queste si possono utilizzare per definire degli operatori epistemici inconsci. Così il principio del terzo escluso individua l’operatore “sapere”, che trasforma ogni enunciato X nell’enunciato X vel non X. Il principio della doppia negazione individua l’operatore “desiderio”, che trasforma ogni enunciato X nell’enunciato se non non X, allora X. Potrei citare altre tesi classiche non intuizioniste, ma mi limito a queste due.

Per lo psicanalista i teoremi relativi a questi operatori sono la scoperta dell’acqua calda: li conosceva già senza saperlo; alcuni si possono far risalire a Socrate, altri a Cartesio, altri ad altri. Ne elenco alcuni in questa tabella, da cui emerge la simmetria (parziale) tra sapere e desiderare, a fondamento della concezione epistemica del desiderio freudiano:

Sapere

Desiderare

non puoi non sapere

non puoi non desiderare

sai che non sai

desideri non desiderare

se non sai, allora sai

se non desideri, allora desideri

se sai, allora sai di sapere

e viceversa

se desideri allora desideri desiderare,

ma non viceversa

Che dire?

Che il progetto di costruire teorie psicanalitiche attraverso modelli meccanici, cioè dotati di simmetrie materiali e simboliche, non è in sé difficile da attuare e può portare a chiarimenti teorici di una certa rilevanza anche in psicanalisi. Questo nuovo Progetto per una psicologia, che rinnova e rilancia l’omonimo trascurato progetto freudiano del 1895, si può prolungare; magari – è l’augurio – potrà arrivare a circoscrivere la matematica propria della psicanalisi, adeguata alle specifiche simmetrie e alle particolari contingenze dell’inconscio, essendo ormai sicuri che il meccanicismo, in quanto distinto dal determinismo, non è in conflitto con nozioni come contingenza, casualità, indeterminazione, spontaneità, infinito e inconscio.

Il corpo assente

Ma chi è riuscito a leggermi fin qui, si chiederà: qual è concretamente il luogo fisico di questa variabilità, delle connesse simmetrie e del conseguente meccanicismo indeterministico?

La domanda è fondamentale. Per far cogliere tutto il senso della mia prossima e in gran parte scontata risposta mi arrischio a conferirle un’intonazione solo debolmente polemica, precisamente non in polemica con le persone ma con le loro dottrine deterministe.

La dottrina pulsionale di Freud presenta la pulsione come concetto limite tra il somatico e lo psichico, ma parla poco di corpo. Nel secondo capitolo di L’Io e l’Es presenta l’Io come qualcosa di corporeo e parla di Io-corpo, ma si ferma lì. Non c’è corpo nella dottrina freudiana, che è propriamente incorporea, per non dire spiritualistica e idealistica, in aperta incongruenza con l’intuizione materialistica dell’inconscio: la materia dell’inconscio è il sapere nel reale, secondo la penetrante definizione che ne dà Lacan nella Lettera agli italiani del 1974.

La dottrina significante di Lacan tocca il suo vertice logocentrico nei cosiddetti matemi della sessuazione. Sono formule logiche con errori di scrittura, prontamente segnalati da Sokal e Bricmont, che distribuiscono il Tutto e il Non-Tutto tra i due sessi: all’uomo tocca la buona totalità, unificabile nel concetto di castrazione; alla donna tocca la cattiva totalità non concettualizzabile, cioè non riconducibile all’unità formale del concetto. Probabilmente Lacan aveva orecchiato qualcosa dell’intuizionismo (ne accenna vagamente nel ventesimo seminario) e qualcos’altro della teoria degli insiemi di von Neumann, che suddivide le classi in insiemi, che sono elementi di altre classi, e classi proprie, che non sono elementi di altre classi.

Tutto bene, ma dov’è il corpo? È forse rimosso? Lacan parla del sesso degli angeli, cioè di una sessualità senza corpo. In effetti, nella sua dottrina logocentrica esiste solo l’immagine del corpo, come riflesso speculare del corpo dell’altro. Non si nega che il corpo abbia un’immagine, purché si dica dov’è il corpo reale.

La mancanza di un’adeguata teorizzazione del corpo sembra la rimozione specifica della psicanalisi e pone interrogativi urgenti. Perché nella maggior parte degli autori manca una teoria del corpo? È impossibile? Non direi. Winnicott ci ha provato con risultati apprezzabili, benché sempre riconducibili a un discorso medico, ancora lontano dal discorso scientifico. Cedendo al fascino della dietrologia, direi che dietro la rimozione del corpo in psicanalisi, si cela una resistenza. In generale, lo psicanalista resiste ad ammettere qualsiasi meccanicismo che non sia anche deterministico. Insomma, lo psicanalista resiste alla moderna scienza indeterministica; per altro non diversamente dagli stessi uomini di scienza che resistono alla scienza che loro stessi producono e rimangono fissati all’antica scienza deterministica: Newton, Darwin, Einstein, … Freud. Ma di questo parlo altrove in riferimento al tema della volontà di ignoranza.

Il corpo macchina

Il corpo è nella variabilità e la variabilità è nel corpo. Questo assioma, che porta immediatamente al teorema: il corpo è una macchina non deterministica, nell’ipotesi che la variabilità goda di qualche simmetria, non è psicanalitico; è biologico; precisamente è l’assioma della biologia darwiniana, che postula la discendenza con variazioni. Attenzione, non sto proponendo di biologizzare la psicanalisi! Sto sollecitando gli psicanalisti, non ancora deformati da conformazioni scolastiche e pregiudizi dottrinari, a pensare; li sto stimolando a entrare in competizione teorica con i biologi, senza contraddire le acquisizioni della fisica, della biologia, della sociologia e senza sconfinare nel cognitivismo.

Il modo da me qui proposto per creare modelli meccanici in psicanalisi è di accettare la variabilità corporea e di articolare le sue conseguenze: le simmetrie e gli indeterminismi corporei. Nel mio libro sopra citato sviluppo questa possibilità, partendo da una suggestione spinoziana: il corpo è la sede degli affetti, che risultano dall’azione di altri corpi sul nostro corpo. Il risultato è un affetto; secondo Spinoza l’affetto è un’idea confusa, fondamentalmente falsa, che con il lavoro dell’analisi – la freudiana psychoanalytische Arbeit – può essere resa meno confusa e meno falsa (più vicina alla rappresentazione che se ne fa dio, secondo Spinoza).

Sono sicuro che esistono altre possibilità teoriche, non meno meccaniche della mia, per trattare la corporeità. Ma mi fermo qui, riconoscendo il mio debito intellettuale; non sarei riuscito a progredire di un passo in questo lavoro teorico se non fossi partito dalla falsa posizione di Lacan, il quale pose al cuore della propria dottrina (da me profondamente assimilata) la nozione della verità come causa (v. J. Lacan, La science et la vérité (1965), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 869). Le false posizioni, soprattutto quando sono magistrali, servono bene come punto di partenza per arrivare a qualcosa di meno falso; dopo si possono dimenticare, senza nostalgie e senza rancori verso nessuno.

Il meccanicismo è laico

Dimenticavo che sto scrivendo sul blog dell’analisi laica. Il modo meccanico di fare teoria (non solo in psicanalisi) ha una precisa e inconfondibile connotazione politica, che le dottrine deterministe non hanno: il meccanicismo è laico e democratico. Il meccanicismo non presuppone presbiteri che sappiano tutta la dottrina di qualche maestro morto e censurino le deviazioni come eresie. Detto in termini lacaniani, il meccanicismo è affatto al di fuori dei vincoli del discorso del padrone; qualunque “meccanico” può avviare un faidaté di teoremi, come ho fatto io che ho riscoperto certi teoremi, sfruttando la “debolezza” dell’intuizionismo, e li ho “exadattati” all’inconscio. Il fatto, poi, che il modo meccanico non sia deterministico consente a più modi e a più teorie di confluire insieme, anche quando sono modi e teorie alternative, un po’ come le geometrie non euclidee convivono con la geometria euclidea come sue varianti o generalizzazioni. Tanto andava precisato per stabilire che il meccanicismo ha poco a che fare con l’ortodossia o con il principio d’autorità. Il meccanicismo, con la contingenza in esso implicita, si contestualizza naturalmente in collettivi di pensiero o Denkkollectiv alla Fleck; in particolare nel caso psicanalitico, si tratta di collettivi di metaanalisi, che promuovono l’analisi dell’analisi fuori dagli schematismi di questa o quella scuola. Ma di questa variabilità intrinseca alla psicanalisi ho già parlato in questo blog a proposito di metaanalisi.

 

Di Antonello Sciacchitano

Nato a San Pellegrino il 24 giugno 1940. Medico e psichiatra, lavora a Milano come psicanalista di formazione lacaniana; riceve domande d'analisi in via Passo di Fargorida, 6, tel. 02.5691223: E' redattore della rivista di cultura e filosofia "aut aut", fondata da Enzo Paci nel 1951.

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