Sulla psicanalisi “selvaggia”
Qualche giorno fa, durante la mia ora di consultazione, protetta dall’amica che l’accompagnava, mi si presentò una signora non più tanto giovane che lamentava stati d’angoscia. Più vicina ai cinquanta che ai quaranta, abbastanza ben conservata, non aveva chiaramente chiuso con la propria femminilità. Occasione per l’insorgere di questi stati d’angoscia fu la separazione dall’ultimo marito. Ma, a suo dire, l’angoscia era considerevolmente aumentata dopo aver consultato un giovane medico di periferia; infatti, costui le aveva spiegato che causa dell’angoscia era la sua miseria sessuale. Non poteva fare a meno del rapporto con l’uomo1 e quindi c’erano solo tre vie di guarigione: o tornare dal marito o prendersi un amante o soddisfarsi da sola. Da allora si era convinta di essere incurabile perché, non volendo tornare dal marito, gli altri due metodi contrastavano con la sua morale e la sua religiosità. Era tuttavia venuta da me perché il medico le aveva detto che si trattava di una prospettiva nuova, aperta da me, e che solo da me poteva avere la conferma che le cose stavano così e non altrimenti. L’amica, ancora più anziana, sciupata e dall’aspetto malaticcio, mi scongiurò allora di rassicurare la paziente che il medico si era sbagliato.2 Non poteva essere così, dato che lei stessa era da molti anni vedova e tuttavia manteneva un comportamento irreprensibile senza soffrire d’angoscia.
Non voglio soffermarmi sulla difficile situazione in cui questa visita mi mise, ma fare chiarezza sul comportamento del collega che mi aveva inviato la malata. Prima, però, voglio formulare una riserva3 forse non superflua, o almeno lo spero. L’esperienza pluriennale mi ha insegnato, come può insegnare a chiunque altro, a non prendere alla leggera per vero tutto quel che i pazienti, e specialmente i nervosi, raccontano del loro medico. Il medico delle malattie nervose, quale che sia il trattamento, non solo diventa facilmente oggetto di molteplici sentimenti ostili da parte del paziente, ma talvolta deve anche sopportare di assumersi, per una sorta di proiezione, la responsabilità dei segreti desideri rimossi dei nervosi. È triste ma tipico che tali ingiurie trovino più facilmente credito proprio presso altri medici.
Ho quindi diritto di sperare che durante la mia consultazione la signora in questione mi abbia riferito le affermazioni del suo medico deformandole tendenziosamente e che farei un torto a lui, che non conosco, se prendessi proprio questo caso come spunto per le mie osservazioni sulla psicanalisi “selvaggia”. Ma così forse impedisco ad altri di far torto ai loro malati.4
Supponiamo allora che il medico abbia parlato esattamente come riferito dalla paziente.
Allora sarà facile per chiunque muovergli la critica che il medico, quando ritiene di affrontare con una donna il tema della sessualità, deve farlo con tatto e discrezione. Ma queste esigenze rientrano nell’osservanza di certe prescrizioni tecniche della psicanalisi; oltre a ciò il medico avrebbe misconosciuto o frainteso tutta una serie di insegnamenti scientifici della psicanalisi, mostrando così quanto poco abbia progredito nella comprensione della sua natura e dei suoi intenti.
Cominciamo dagli ultimi, cioè dagli errori scientifici. I consigli del medico fanno chiaramente capire in che senso intenda la “vita sessuale”: vale a dire nel senso popolare, per cui con bisogni sessuali non si comprende altro che il bisogno del coito o di analoghi procedimenti per produrre orgasmo ed emissione di materia seminale. Ma quel medico non poteva non sapere che di solito alla psicanalisi si rimprovera di aver esteso il concetto di sessuale ben al di là dell’usuale portata. In effetti è così, ma qui non è in discussione se lo si possa impiegare come rimprovero. In psicanalisi il concetto di sessuale è molto più comprensivo; eccede il senso comune sia verso l’alto sia verso il basso.5 L’estensione si giustifica geneticamente. Annoveriamo nella “vita sessuale” anche tutte le realizzazioni di sentimenti teneri, provenienti dalla fonte dei primitivi moti sessuali, anche nel caso in cui tali moti siano andati incontro a inibizione rispetto all’originaria meta sessuale o abbiano scambiato tale meta con un’altra non più sessuale. Perciò preferiamo parlare anche di psicosessualità; ci teniamo a non trascurare e a non sottovalutare il fattore psichico della sessualità. Usiamo la parola “sessualità” nello stesso ampio senso in cui in tedesco si dice lieben [amare].6 Da tempo sappiamo che si può avere insoddisfazione psichica, con tutte le sue conseguenze, anche là dove non manca il normale rapporto sessuale; in quanto terapeuti, teniamo sempre ben presente che le aspirazioni sessuali insoddisfatte – i cui soddisfacimenti sostitutivi combattiamo sotto forma di sintomi nervosi – spesso possono scaricarsi solo in misura ridotta attraverso il coito o altri atti sessuali.
Chi non condivide questa concezione della psicosessualità non ha diritto di rifarsi alle tesi della dottrina psicanalitica sull’importanza eziologica della sessualità. Sottolineando esclusivamente il fattore somatico nel sessuale si semplifica certo di molto il problema, ma la responsabilità del suo modo di procedere è soltanto sua.
Dai consigli del medico traspare ancora un secondo non meno grave fraintendimento. Giustamente la psicanalisi indica nell’insoddisfazione sessuale la causa della sofferenza nervosa. Ma non dice anche qualcosa di più? Vogliamo lasciare da parte, perché troppo complicato, l’insegnamento secondo cui i sintomi nervosi originano dal conflitto tra due forze: quella della libido, diventata per lo più eccessiva, e quella del rifiuto sessuale troppo severo o della rimozione? Chi non dimentica questo secondo fattore, cui in realtà non spetta un posto di secondaria importanza, non potrà mai credere che la soddisfazione sessuale in sé sia il rimedio generalmente attendibile ai disturbi7 dei nervosi. Buona parte di costoro è già incapace di soddisfazione nelle circostanze date o in generale. Se ne fossero capaci, se non avessero le loro resistenze interne, la forza della pulsione indicherebbe loro la strada della soddisfazione, anche senza i consigli del medico.8 Cosa potrebbe mai essere un consiglio come quello che si suppone il medico abbia dato alla signora?9
Anche potendo giustificarlo scientificamente,10 è per lei inattuabile.11 Se non avesse resistenze interne contro la masturbazione o contro una relazione amorosa, avrebbe già da tempo adottato uno di questi espedienti.12 O forse il medico pensa che una donna sopra la quarantina non sappia che ci si può prendere un amante? O sopravvaluta la propria influenza fino al punto di pensare che senza il beneplacito del medico non si sarebbe potuta decidere a fare simile passo?
Tutto sembra molto chiaro; bisogna tuttavia ammettere l’esistenza di un fattore che spesso rende difficile formulare un giudizio. Alcuni stati nervosi,13 le cosiddette nevrosi attuali, come la tipica nevrastenia o la nevrosi d’angoscia, dipendono chiaramente dal fattore somatico della vita sessuale, mentre non abbiamo alcuna idea certa del ruolo in esse svolto dal fattore psichico e dalla rimozione. In tali casi si raccomanda al medico14 di prendere in considerazione in primo luogo una terapia attuale, una modifica dell’attività sessuale somatica, e può farlo a pieno diritto, se la sua diagnosi era giusta.15 La signora che consultò il giovane medico lamentava soprattutto stati d’angoscia; il medico probabilmente suppose che soffrisse di nevrosi d’angoscia e ritenne giustificato suggerirle una terapia somatica. Di nuovo un comodo malinteso! Chi soffre d’angoscia non ha necessariamente una nevrosi d’angoscia; questa diagnosi non va dedotta dal nome; bisogna sapere quali sono le sue manifestazioni e distinguerla da altri stati morbosi che si manifestano con angoscia. A mio parere, la signora in questione soffriva di un’isteria d’angoscia; tutto il valore, anche pienamente sufficiente, di queste distinzioni nosografiche16 sta nel fatto che rimandano a una diversa eziologia e a una diversa terapia.17 Chi avesse preso in considerazione la possibilità dell’isteria d’angoscia, non sarebbe caduto nell’errore di trascurare i fattori psichici, come emerge dalle alternative consigliate dal medico.
È abbastanza degno di nota18 che tra le alternative terapeutiche del supposto analista non trovi posto… la psicanalisi. Questa signora dovrebbe poter guarire dall’angoscia solo tornando dal marito o soddisfacendosi per via masturbatoria o con un amante. E dove mai potrebbe inserirsi il trattamento analitico, in cui ravvisiamo il principale strumento contro gli stati d’angoscia?
Saremmo così giunti alle infrazioni tecniche,19 che riconosciamo nel modo di procedere del medico nel caso in questione. È una concezione20 da tempo superata, derivante da apparenze superficiali, che il malato soffra in conseguenza di una sorta di ignoranza21 e che, togliendo tale ignoranza, grazie alla comunicazione (delle connessioni causali della sua malattia con la sua vita, delle esperienze infantili e così via), dovrebbe guarire. Il fattore patogeno22 non è questo non sapere23 in sé, ma il suo fondarsi sulle resistenze interne, le quali prima hanno suscitato il non sapere e ora lo mantengono. Il compito della terapia sta nella lotta contro queste resistenze. Comunicare quanto il malato non sa, perché l’ha rimosso, è solo uno dei preliminari necessari alla terapia. Se il sapere dell’inconscio fosse per il malato così importante come crede l’inesperto di psicanalisi, per guarire al malato basterebbe andare a qualche lezione o leggere qualche libro. Ma queste misure hanno sui sintomi nervosi lo stesso effetto che sulla fame avrebbe la distribuzione di menu in tempi di carestia. Il paragone si può utilizzare al di là della sua applicazione immediata; infatti, comunicare l’inconscio al malato ha regolarmente la conseguenza di acuire in lui il conflitto e di aumentarne le lagnanze.
Ma, poiché non può fare a meno di tale comunicazione, la psicanalisi prescrive di non farla prima che siano soddisfatte due condizioni: in primo luogo, che il malato attraverso la preparazione sia giunto lui stesso in prossimità di ciò che è stato da lui rimosso; in secondo luogo, che si sia attaccato al medico (transfert) al punto tale che il rapporto affettivo con lui gli renda impossibile fuggire di nuovo.
Solo la realizzazione di queste due condizioni rende possibile riconoscere e padroneggiare le resistenze che hanno portato alla rimozione e al non [voler] sapere. L’intervento psicanalitico presuppone dunque assolutamente un più lungo contatto con il malato; i tentativi di assalire il malato di sorpresa alla prima visita di consultazione, comunicandogli bruscamente i segreti che il medico ha indovinato sono tecnicamente da biasimare e si puniscono per lo più da sé, attirando sul medico una cordiale24 ostilità e togliendo di mezzo ogni ulteriore possibilità di influenzamento.25
Tutto ciò a prescindere dal fatto talvolta non si indovina e non si è mai in grado di indovinare tutto.26 Con queste precise prescrizioni tecniche la psicanalisi sostituisce la pretesa di un inafferrabile “tatto medico”, in cui si ricerca una dote particolare.27
Non è quindi sufficiente al medico conoscere alcuni risultati della psicanalisi; volendo che la propria pratica medica sia guidata dai punti di vista psicanalitici, occorre aver preso confidenza con la sua tecnica. Ancora28 oggi questa tecnica non può essere appresa sui libri e certo ci si arriva solo con grandi sacrifici di tempo, di fatica e anche di successo.29 Come altre tecniche mediche,30 la si apprende da chi la padroneggia già. Per valutare il caso, cui collego queste osservazioni,31 non è certo indifferente che io né conosca né abbia mai udito il nome del medico che ha potuto dare simili consigli.
Né a me né ai miei amici e collaboratori fa piacere la pretesa di monopolizzare in tal modo l’esercizio di una tecnica medica.32 Ma, considerati i prevedibili pericoli che l’esercizio di una psicanalisi “selvaggia” comporta sia per i malati sia per la causa della psicanalisi, non ci restava altra scelta.33 Nella primavera del 1910 abbiamo fondato un’ associazione psicanalitica internazionale, nella quale i membri si riconoscono attraverso la pubblicazione dei nomi,34 per poterci rifiutare di assumere la responsabilità del comportamento di tutti coloro che non appartengono a noi e chiamano “psicanalisi” il loro operato medico.35 In verità, infatti, più del singolo malato36 tali psicanalisti selvaggi danneggiano la causa della psicanalisi. Ho spesso sperimentato che un modo di operare tanto maldestro, anche se sulle prime ha prodotto un peggioramento nelle condizioni del malato, alla fine lo ha portato alla guarigione. Non sempre, ma molto di frequente. Dopo aver abbastanza a lungo inveito contro il medico e sentendosi a sufficiente distanza37 dalla sua influenza, i suoi sintomi si attenuano o si decide a fare un passo sulla via della guarigione. Il miglioramento finale è allora o avvenuto “da sé” o attribuito al trattamento affatto indifferente di un altro medico, al quale il malato si è successivamente rivolto. Nel caso della signora, di cui abbiamo sentito le accuse38 contro il medico, sono propenso a pensare che lo psicanalista selvaggio39 ha fatto per la sua paziente qualcosa di più di una qualche famosa autorità che le abbia raccontato che soffriva di “neurosi vasomotoria”. L’ha costretta a puntare lo sguardo sulla vera causa40 della sua sofferenza o nelle sue vicinanze;41 malgrado le proteste della paziente, questo intervento non resterà senza conseguenze a lei favorevoli.42 Ma ha danneggiato se stesso e contribuito ad aumentare i pregiudizi che, sulla base di comprensibili resistenze affettive, i malati ergono contro l’attività dello psicanalista. E questo può essere evitato.
Note
1 [Musatti: “Non poteva tollerare, secondo il medico, la perdita del rapporto con il marito”. (OSF, vol. VI, p. 325). Ndt]
2 [Musatti: “Che il medico l’aveva ingannata” (OSF, vol. VI, p. 325). Ndt]
3 [Musatti: “precauzione”. (OSF, vol. VI, p. 325). Ndt]
4 [Il ragionamento di Freud non è del tutto limpido, frutto dell’ambivalenza tipica di un Freud che ama la medicina e odia i medici. Ndt.]
5 [Musatti parafrasa e annacqua il testo: “Qui non dobbiamo discutere se dobbiamo fargliene un rimprovero, ma è indubbio che le cose stanno effettivamente così. Il concetto di sessualità in psicoanalisi è assai più comprensivo e si estende, in ogni direzione, molto al di là del senso popolare.” (OSF, vol. VI, p. 326). Ndt]
6 [Freud estende così tanto il significato di “sessuale”, fino a farlo praticamente coincidere con psichico, per una ben precisa ragione ideologica. Freud ha bisogno di trovare sempre una causa psichica. La sessualità estesa gli offre il campo eziologico adatto alla sua metapsicologia. Una psicanalisi più scientifica di quella freudiana non avrebbe bisogno di fare un riferimento così massiccio alla nozione di causa. Ndt]
7 [Musatti: “sofferenze”. (OSF, vol. VI, p. 327). Ndt]
8 [Qui è evidente la Spaltung freudiana tra medicina e medici: “la forza della pulsione” è la causa fisiologica della soddisfazione; i consigli del medico un inutile sovrappiù. Ndt]
9 [Musatti allunga il brodo: “Che senso può dunque avere un consiglio come quello che si presume abbia dato quel medico alla nostra signora?”. (OSF, vol. VI, p. 327). Ndt]
10 [Musatti: “Anche ammettendo che da un punto di vista scientifico possa avere qualche giustificazione”. (OSF, vol. VI, p. 327). Ndt]
11 [Musatti: “inutile”. (OSF, vol. VI, p. 327). Ndt]
12 [Musatti: “soluzioni” (OSF, vol. VI,p. 328). Ndt]
13 [Musatti: “affezioni nervose” (OSF, vol. VI, p. 328). Ndt]
14 [Musatti: “è naturale” (OSF, vol. VI, p. 328). Per Musatti le raccomandazioni al medico sono naturali. Ndt]
15 [Qui Freud ci ricorda che l’atto medico per eccellenza, da cui dipendono la prognosi e la terapia, è la diagnosi: il riconoscimento ontologico della malattia. Ndt].
16 [Musatti: “il valore di tali distinzioni nosografiche (e ciò che le rende preziose)” (OSF, vol. VI, p. 328). Ndt]
17 [Qui Freud è esplicitamente medico: la giusta terapia dipende dal riconoscimento della giusta causa; data la causa della malattia, la terapia eziologica funziona da anticausa. Nella fattispecie, la rimozione infantile è la causa dell’isteria; la psicanalisi è terapeutica nella misura in cui agisce contro le rimozioni infantili. Non c’è nulla di particolarmente scientifico in questo. La psicanalisi applica il buon senso medico. Ndt]
18 [Musatti: “è veramente straordinario (OSF, vol. VI, p. 329). Ndt]
19 [Musatti: “inesattezze tecniche” (OSF, vol. VI, p. 329). È una costante della formazione medica la sopravvalutazione delle condizioni operative della tecnica rispetto alle condizioni di principio della scientificità. Freud usa il termine Verfehlung per sottolineare la dimensione soggettiva della colpa di chi non applica scrupolosamente le prescrizioni tecniche. Ndt.]
20 [Musatti: “concetto” (OSF, vol. VI, p. 329).]
21 [Musatti: “insipienza” (OSF, vol. VI, p. 329).]
22 [Ecco la patogenesi medicale! Ndt]
23 [Musatti: “ “non sapere” ”. (OSF, vol. VI, p. 329). Perché le virgolette? È un metasapere? Ndt]
24 [Musatti: “intensa”. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
25 [Musatti: “troncando al primo una possibile ulteriore influenza sul secondo”. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
26 [Musatti: “A prescindere da tutto ciò, accade talora di non cogliere nel segno, e comunque nessuno è mai in grado di indovinar tutto”. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
27 [Musatti: “Queste prescrizioni tecniche sono avanzate dalla psicanalisi in sostituzione di quel inafferrabile “tatto medico”, in cui si vuol ravvisare una dote tutta particolare”. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
28 [Musatti non lo traduce. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
29 [Musatti: “e certo non la si può scoprire da sé senza grandi sacrifici di tempo, di fatica e di risultati” (OSF, vol. VI, p. 330). La traduzione è da Strachey. Cfr. Strachey “it certainly cannot be discovered independently without great sacrifices of time, labour and success”. Neppure Strachey sapeva bene il tedesco: in “Erfolg selbst” il pronome “selbst” non significa “da sé” ma “anche”. Ndt]
30 [Ricordiamoci di questa affermazione quando leggeremo La questione dell’analisi laica, di sedici anni dopo. Allora Freud contesterà ai medici il diritto di applicare una tecnica medica, prima di averla acquisita con una formazione personale. Ndt.]
31 [Musatti: “che ha dato origine a queste osservazioni”. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
32 [E dai! Vedi nota 61. Ndt]
33 [L’argomento a difesa dei soggetti deboli, in questo caso i malati, è ipocrita e filisteo. È lo stesso argomento che, con la scusa di difendere i malati, ha portato a regolamentare la psicoterapia per legge, quindi a istituire la lobby psicoterapeutica. Freud non sottovalutò mai lo spirito di corpo dei medici, ma non fece mai lo sforzo di istituire per la sua psicanalisi un dispositivo collettivo alternativo a quello medico. Per quanto riguarda la causa della psicanalisi le operazioni a difesa hanno il respiro corto. Ndt]
34 [Musatti: “rendendo pubblica la loro adesione”. (OSF, vol. VI, p. 330). Ndt]
35 [Anche in Freud c’è una buona dose di spirito lobbistico, probabilmente mutuato dalla corporazione medica, cui apparteneva pur contestandola. Ndt]
36 [Musatti: “singoli pazienti”. (OSF, vol. VI, p. 331). Ndt]
37 [Musatti: “sufficientemente al riparo”. (OSF, vol. VI, p. 331). Ndt]
38 [Musatti: “lamentele”. (OSF, vol. VI, p. 331). Ndt]
39 [Musatti: “ “selvaggio” ”. (OSF, vol. VI, p. 331). Perché le virgolette? Forse Musatti credeva che Freud usasse il termine in senso metaforico. Ndt]
40 [Musatti: “radice”. (OSF, vol. VI, p. 331). Freud, da medico qual è, cerca sempre il fondamento nella causa, die Begründung. Ndt]
41 [Musatti: “in direzione di questa”. (OSF, vol. VI, p. 331). Ndt]
42 [Musatti: “benefiche”. (OSF, vol. VI, p. 331). Ndt]
Revisione di Davide Radice
Di seguito il testo originale:
Über »wilde« Psychoanalyse (1910)
[118] Vor einigen Tagen erschien in meiner Sprechstunde in Begleitung einer schützenden Freundin eine ältere Dame, die über Angstzustände klagte. Sie war in der zweiten Hälfte der Vierzigerjahre, ziemlich gut erhalten, hatte offenbar mit ihrer Weiblichkeit noch nicht abgeschlossen. Anlaß des Ausbruches der Zustände war die Scheidung von ihrem letzten Manne; die Angst hatte aber nach ihrer Angabe eine erhebliche Steigerung erfahren, seitdem sie einen jungen Arzt in ihrer Vorstadt konsultiert hatte; denn dieser hatte ihr auseinandergesetzt, daß die Ursache ihrer Angst ihre sexuelle Bedürftigkeit sei. Sie könne den Verkehr mit dem Manne nicht entbehren, und darum gebe es für sie nur drei Wege zur Gesundheit, entweder sie kehre zu ihrem Manne zurück, oder sie nehme einen Liebhaber, oder sie befriedige sich selbst. Seitdem sei sie überzeugt, daß sie unheilbar sei, denn zu ihrem Manne zurück wolle sie nicht, und die beiden anderen Mittel widerstreben ihrer Moral und ihrer Religiosität. Zu mir aber sei sie gekommen, weil der Arzt ihr gesagt habe, das sei eine neue Einsicht, die man mir verdanke, und sie solle sich nur von mir die Bestätigung holen, daß es so sei und nicht anders. Die Freundin, eine noch ältere, verkümmert und ungesund aussehende Frau, beschwor mich dann, der Patientin zu versichern, daß sich der Arzt geirrt habe. Es [119] könne doch nicht so sein, denn sie selbst sei seit langen Jahren Witwe und doch anständig geblieben, ohne an Angst zu leiden.
Ich will nicht bei der schwierigen Situation verweilen, in die ich durch diesen Besuch versetzt wurde, sondern das Verhalten des Kollegen beleuchten, der diese Kranke zu mir geschickt hatte. Vorher will ich einer Verwahrung gedenken, die vielleicht – oder hoffentlich – nicht überflüssig ist. Langjährige Erfahrung hat mich gelehrt – wie sie’s auch jeden anderen lehren könnte – nicht leichthin als wahr anzunehmen, was Patienten, insbesondere Nervöse, von ihrem Arzt erzählen. Der Nervenarzt wird nicht nur bei jeder Art von Behandlung leicht das Objekt, nach dem mannigfache feindselige Regungen des Patienten zielen; er muß es sich auch manchmal gefallen lassen, durch eine Art von Projektion die Verantwortung für die geheimen verdrängten Wünsche der Nervösen zu übernehmen. Es ist dann eine traurige, aber bezeichnende Tatsache, daß solche Anwürfe nirgendwo leichter Glauben finden als bei anderen Ärzten.
Ich habe also das Recht zu hoffen, daß die Dame in meiner Sprechstunde mir einen tendenziös entstellten Bericht von den Äußerungen ihres Arztes gegeben hat, und daß ich ein Unrecht an ihm, der mir persönlich unbekannt ist, begehe, wenn ich meine Bemerkungen über »wilde« Psychoanalyse gerade an diesen Fall anknüpfe. Aber ich halte dadurch vielleicht andere ab, an ihren Kranken unrecht zu tun.
Nehmen wir also an, daß der Arzt genau so gesprochen hat, wie mir die Patientin berichtete.
Es wird dann jeder leicht zu seiner Kritik vorbringen, daß ein Arzt, wenn er es für notwendig hält, mit einer Frau über das Thema der Sexualität zu verhandeln, dies mit Takt und Schonung tun müsse. Aber diese Anforderungen fallen mit der Befolgung gewisser technischer Vorschriften der Psychoanalyse zusammen, und überdies hätte der Arzt eine Reihe von [120] wissenschaftlichen Lehren der Psychoanalyse verkannt oder mißverstanden und dadurch gezeigt, wie wenig weit er zum Verständnis von deren Wesen und Absichten vorgedrungen ist.
Beginnen wir mit den letzteren, den wissenschaftlichen Irrtümern. Die Ratschläge des Arztes lassen klar erkennen, in welchem Sinne er das »Sexualleben« erfaßt. Im populären nämlich, wobei unter sexuellen Bedürfnissen nichts anderes verstanden wird als das Bedürfnis nach dem Koitus oder analogen, den Orgasmus und die Entleerung der Geschlechtsstoffe bewirkenden Vornahmen. Es kann aber dem Arzt nicht unbekannt geblieben sein, daß man der Psychoanalyse den Vorwurf zu machen pflegt, sie dehne den Begriff des Sexuellen weit über den gebräuchlichen Umfang aus. Die Tatsache ist richtig; ob sie als Vorwurf verwendet werden darf, soll hier nicht erörtert werden. Der Begriff des Sexuellen umfaßt in der Psychoanalyse weit mehr; er geht nach unten wie nach oben über den populären Sinn hinaus. Diese Erweiterung rechtfertigt sich genetisch; wir rechnen zum »Sexualleben« auch alle Betätigungen zärtlicher Gefühle, die aus der Quelle der primitiven sexuellen Regungen hervorgegangen sind, auch wenn diese Regungen eine Hemmung ihres ursprünglich sexuellen Zieles erfahren oder dieses Ziel gegen ein anderes, nicht mehr sexuelles, vertauscht haben. Wir sprechen darum auch lieber von Psychosexualität, legen so Wert darauf, daß man den seelischen Faktor des Sexuallebens nicht übersehe und nicht unterschätze. Wir gebrauchen das Wort Sexualität in demselben umfassenden Sinne, wie die deutsche Sprache das Wort »lieben«. Wir wissen auch längst, daß seelische Unbefriedigung mit allen ihren Folgen bestehen kann, wo es an normalem Sexualverkehr nicht mangelt, und halten uns als Therapeuten immer vor, daß von den unbefriedigten Sexualstrebungen, deren Ersatzbefriedigungen in der Form nervöser Symptome wir bekämpfen, oft nur ein [121] geringes Maß durch den Koitus oder andere Sexualakte abzuführen ist.
Wer diese Auffassung der Psychosexualität nicht teilt, hat kein Recht, sich auf die Lehrsätze der Psychoanalyse zu berufen, in denen von der ätiologischen Bedeutung der Sexualität gehandelt wird. Er hat sich durch die ausschließliche Betonung des somatischen Faktors am Sexuellen das Problem gewiß sehr vereinfacht, aber er mag für sein Vorgehen allein die Verantwortung tragen.
Aus den Ratschlägen des Arztes leuchtet noch ein zweites und ebenso arges Mißverständnis hervor.
Es ist richtig, daß die Psychoanalyse angibt, sexuelle Unbefriedigung sei die Ursache der nervösen Leiden. Aber sagt sie nicht noch mehr? Will man als zu kompliziert beiseite lassen, daß sie lehrt, die nervösen Symptome entspringen aus einem Konflikt zwischen zwei Mächten, einer (meist übergroß gewordenen) Libido und einer allzu strengen Sexualablehnung oder Verdrängung? Wer auf diesen zweiten Faktor, dem wirklich nicht der zweite Rang angewiesen wurde, nicht vergißt, wird nie glauben können, daß Sexualbefriedigung an sich ein allgemein verläßliches Heilmittel gegen die Beschwerden der Nervösen sei. Ein guter Teil dieser Menschen ist ja der Befriedigung unter den gegebenen Umständen oder überhaupt nicht fähig. Wären sie dazu fähig, hätten sie nicht ihre inneren Widerstände, so würde die Stärke des Triebes ihnen den Weg zur Befriedigung weisen, auch wenn der Arzt nicht dazu raten würde. Was soll also ein solcher Rat, wie ihn der Arzt angeblich jener Dame erteilt hat?
Selbst wenn er sich wissenschaftlich rechtfertigen läßt, ist er unausführbar für sie. Wenn sie keine inneren Widerstände gegen die Onanie oder gegen ein Liebesverhältnis hätte, würde sie ja längst zu einem von diesen Mitteln gegriffen haben. Oder meint der Arzt, eine Frau von über 40 Jahren wisse nichts davon, [122] daß man sich einen Liebhaber nehmen kann, oder überschätzt er seinen Einfluß so sehr, daß er meint, ohne ärztliches Gutheißen würde sie sich nie zu einem solchen Schritt entschließen können?
Das scheint alles sehr klar, und doch ist zuzugeben, daß es ein Moment gibt, welches die Urteilsfällung oft erschwert. Manche der nervösen Zustände, die sogenannten Aktualneurosen wie die typische Neurasthenie und die reine Angstneurose, hängen offenbar von dem somatischen Faktor des Sexuallebens ab, während wir über die Rolle des psychischen Faktors und der Verdrängung bei ihnen noch keine gesicherte Vorstellung haben. In solchen Fällen ist es dem Arzte nahegelegt, eine aktuelle Therapie, eine Veränderung der somatischen sexuellen Betätigung, zunächst ins Auge zu fassen, und er tut dies mit vollem Recht, wenn seine Diagnose richtig war. Die Dame, die den jungen Arzt konsultierte, klagte vor allem über Angstzustände, und da nahm er wahrscheinlich an, sie leide an Angstneurose, und hielt sich für berechtigt, ihr eine somatische Therapie zu empfehlen. Wiederum ein bequemes Mißverständnis! Wer an Angst leidet, hat darum nicht notwendig eine Angstneurose; diese Diagnose ist nicht aus dem Namen abzuleiten; man muß wissen, welche Erscheinungen eine Angstneurose ausmachen, und sie von anderen, auch durch Angst manifestierten Krankheitszuständen unterscheiden. Die in Rede stehende Dame litt nach meinem Eindruck an einer Angsthysterie, und der ganze, aber auch voll zureichende Wert solcher nosographischer Unterscheidungen liegt darin, daß sie auf eine andere Ätiologie und andere Therapie hinweisen. Wer die Möglichkeit einer solchen Angsthysterie ins Auge gefaßt hätte, der wäre der Vernachlässigung der psychischen Faktoren, wie sie in den Alternativratschlägen des Arztes hervortritt, nicht verfallen.
Merkwürdig genug, in dieser therapeutischen Alternative des angeblichen Psychoanalytikers bleibt kein Raum – für die Psychoanalyse.
[123] Diese Frau soll von ihrer Angst nur genesen können, wenn sie zu ihrem Manne zurückkehrt oder sich auf dem Wege der Onanie oder bei einem Liebhaber befriedigt. Und wo hätte die analytische Behandlung einzutreten, in der wir das Hauptmittel bei Angstzuständen erblicken?
Somit wären wir zu den technischen Verfehlungen gelangt, die wir in dem Vorgehen des Arztes im angenommenen Falle erkennen. Es ist eine längst überwundene, am oberflächlichen Anschein haftende Auffassung, daß der Kranke infolge einer Art von Unwissenheit leide, und wenn man diese Unwissenheit durch Mitteilung (über die ursächlichen Zusammenhänge seiner Krankheit mit seinem Leben, über seine Kindheitserlebnisse usw.) aufhebe, müsse er gesund werden. Nicht dies Nichtwissen an sich ist das pathogene Moment, sondern die Begründung des Nichtwissens in inneren Widerständen, welche das Nichtwissen zuerst hervorgerufen haben und es jetzt noch unterhalten. In der Bekämpfung dieser Widerstände liegt die Aufgabe der Therapie. Die Mitteilung dessen, was der Kranke nicht weiß, weil er es verdrängt hat, ist nur eine der notwendigen Vorbereitungen für die Therapie. Wäre das Wissen des Unbewußten für den Kranken so wichtig wie der in der Psychoanalyse Unerfahrene glaubt, so müßte es zur Heilung hinreichen, wenn der Kranke Vorlesungen anhört oder Bücher liest. Diese Maßnahmen haben aber ebensoviel Einfluß auf die nervösen Leidenssymptome wie die Verteilung von Menukarten zur Zeit einer Hungersnot auf den Hunger. Der Vergleich ist sogar über seine erste Verwendung hinaus brauchbar, denn die Mitteilung des Unbewußten an den Kranken hat regelmäßig die Folge, daß der Konflikt in ihm verschärft wird und die Beschwerden sich steigern.
Da die Psychoanalyse aber eine solche Mitteilung nicht entbehren kann, schreibt sie vor, daß sie nicht eher zu erfolgen habe, als bis zwei Bedingungen erfüllt sind. Erstens bis der Kranke durch Vorbereitung selbst in die Nähe des von ihm [124] Verdrängten gekommen ist, und zweitens, bis er sich so weit an den Arzt attachiert hat (Übertragung), daß ihm die Gefühlsbeziehung zum Arzt die neuerliche Flucht unmöglich macht.
Erst durch die Erfüllung dieser Bedingungen wird es möglich, die Widerstände, welche zur Verdrängung und zum Nichtwissen geführt haben, zu erkennen und ihrer Herr zu werden. Ein psychoanalytischer Eingriff setzt also durchaus einen längeren Kontakt mit dem Kranken voraus, und Versuche, den Kranken durch die brüske Mitteilung seiner vom Arzt erratenen Geheimnisse beim ersten Besuch in der Sprechstunde zu überrumpeln, sind technisch verwerflich und strafen sich meist dadurch, daß sie dem Arzt die herzliche Feindschaft des Kranken zuziehen und jede weitere Beeinflussung abschneiden.
Ganz abgesehen davon, daß man manchmal falsch rät und niemals imstande ist, alles zu erraten. Durch diese bestimmten technischen Vorschriften ersetzt die Psychoanalyse die Forderung des unfaßbaren »ärztlichen Taktes«, in dem eine besondere Begabung gesucht wird.
Es reicht also für den Arzt nicht hin, einige der Ergebnisse der Psychoanalyse zu kennen; man muß sich auch mit ihrer Technik vertraut gemacht haben, wenn man sein ärztliches Handeln durch die psychoanalytischen Gesichtspunkte leiten lassen will. Diese Technik ist heute noch nicht aus Büchern zu erlernen und gewiß nur mit großen Opfern an Zeit, Mühe und Erfolg selbst zu finden. Man erlernt sie wie andere ärztliche Techniken bei denen, die sie bereits beherrschen. Es ist darum gewiß für die Beurteilung des Falles, an den ich diese Bemerkungen knüpfe, nicht gleichgültig, daß ich den Arzt, der solche Ratschläge gegeben haben soll, nicht kenne und seinen Namen nie gehört habe.
Es ist weder mir noch meinen Freunden und Mitarbeitern angenehm, in solcher Weise den Anspruch auf die Ausübung [125] einer ärztlichen Technik zu monopolisieren. Aber angesichts der Gefahren, die die vorherzusehende Übung einer »wilden« Psychoanalyse für die Kranken und für die Sache der Psychoanalyse mit sich bringt, blieb uns nichts anderes übrig. Wir haben im Frühjahr 1910 einen internationalen psychoanalytischen Verein gegründet, dessen Mitglieder sich durch Namensveröffentlichung zu ihm bekennen, um die Verantwortung für das Tun aller jener ablehnen zu können, die nicht zu uns gehören und ihr ärztliches Vorgehen »Psychoanalyse« heißen. Denn in Wahrheit schaden solche wilde Analytiker doch der Sache mehr als dem einzelnen Kranken. Ich habe es häufig erlebt, daß ein so ungeschicktes Vorgehen, wenn es zuerst eine Verschlimmerung im Befinden des Kranken machte, ihm am Ende doch zum Heile gereicht hat. Nicht immer, aber doch oftmals. Nachdem er lange genug auf den Arzt geschimpft hat und sich weit genug von seiner Beeinflussung weiß, lassen dann seine Symptome nach, oder er entschließt sich zu einem Schritt, welcher auf dem Wege zur Heilung liegt. Die endliche Besserung ist dann »von selbst« eingetreten oder wird der höchst indifferenten Behandlung eines Arztes zugeschrieben, an den sich der Kranke später gewendet hat. Für den Fall der Dame, deren Anklage gegen den Arzt wir gehört haben, möchte ich meinen, der wilde Psychoanalytiker habe doch mehr für seine Patientin getan als irgend eine hochangesehene Autorität, die ihr erzählt hätte, daß sie an einer »vasomotorischen Neurose« leide. Er hat ihren Blick auf die wirkliche Begründung ihres Leidens oder in dessen Nähe gezwungen, und dieser Eingriff wird trotz alles Sträubens der Patientin nicht ohne günstige Folgen bleiben. Aber er hat sich selbst geschädigt und die Vorurteile steigern geholfen, welche sich infolge begreiflicher Affektwiderstände bei den Kranken gegen die Tätigkeit des Psychoanalytikers erheben. Und dies kann vermieden werden.
Buonasera, credo di essere incappato in uno psicoanalista selvaggio e mi piacerebbe averne conferma. A dire il vero non è il mio psicoanalista, l’ho conosciuto per altre ragioni e, dato che sono omosessuale, mi lancia delle continue provocazioni che non fanno che irritarmi profondamente. Inoltre riconosce che quando parla con me non usa le attenzioni che userebbe con un suo paziente (agghiacciante!).
Faccio autoanalisi da quando sono bambino, ho un carattere molto riflessivo, nel tempo ho provato a spiegarmi il motivo del mio atteggiamento e sono arrivato a determinate conclusioni. Un giorno mi sono ritrovato a confessargli che da ragazzino mi sarei strappato un braccio pur di essere eterosessuale, gli ho detto che c’è stato un lungo periodo in cui sapevo quello che ero, ma non lo ammettevo nemmeno a me stesso. La sua risposta è stata che cercavo di venirne fuori in quanto SAPEVO che ciò era sbagliato, quando ho provato a parlargli dell’omosessualità distonica ha iniziato a denigrarmi per il fatto che uso termini che secondo lui non conosco. La cosa più eclatante è che sono riuscito a fargli ammettere che non ha alcuna laurea, ma lui sostiene che per esercitare l’analisi non è necessaria. Anche dopo avergli portato la legislazione completa della figura di analista se ne è venuto fuori con delle storie assurde che non potrei riassumere. La cosa grave è che ho la quasi certezza che lui tratti effettivamente dei pazienti. Come dovrei comportarmi? Da quando lo conosco sono tornato ad avere tendenze suicide che non avevo più da anni.
Mi vergogno un po’ per l’italiano precario del mio commento, ma l’ho scritto di getto e pubblicato senza rileggerlo. Quello che mi preme di più dire però è questo: la soluzione più corretta in questi casi sarebbe quella di evitare di frequentarmi con lui, ma mi è impossibile dato che collaboriamo ad un progetto comune, inoltre non mi aiuterebbe a sentirmi meglio, perché ormai quelle cose me le ha dette e finché non riuscirò a smentirlo me le porterò dietro e saranno la peggiore delle mie ossessioni.