Gli “sforzi terapeutici” e il “lavoro di civiltà” [Kulturarbeit] nella psicanalisi freudiana

Giornata: La cura psicanalitica è una terapia efficace?

Il titolo delle nostre giornate esige un chiarimento di termini quali psicanalisi, terapia, cura, efficacia. Tale domanda sembra infatti pretendere piú di un semplice sì o no, chiede invece: in che modo una psicoterapia efficace si differenzia da una psicanalisi efficace? O ancora: esistono atti psicanalitici efficaci ma non terapeutici?

L’inventore della psicanalisi parla spesso di psicoterapia, della “nostra terapia”, discute di compiti, successi, metodi, effetti e scopi terapeutici del suo lavoro concreto e nota in alcuni psicanalisti una grande ambizione “terapeutica”. Il punto di vista terapeutico non gli è estraneo, egli lo ha esposto per esempio in Per la psicoterapia dell’isteria.1

Ma psicanalisi e psicoterapia non sono per Freud la stessa cosa.

Un po’ di linguistica: Il verbo italiano e francese “guarire/guérir” esiste in tedesco solo nella forma transitiva: heilen, nel senso di “guarire qualcuno” (guarire da qualcosa viene tradotto con genesen o anche gesunden). In compenso, in tedesco è invece possibile formare verbi non solo dal sostantivo “analisi”, ma anche da “terapia” e “cura”: si analizza, si terapizza [man therapiert], si cura.2

Edvard Munch - The Sick Child (1907)
Edvard Munch – The Sick Child (1907)

Proprio questo “curare” è oggetto di una definizione giuridica: nel 1869 i medici tedeschi riuscirono a far approvare una norma con cui la professione medica venne sottoposta all’ordinamento delle professioni e mestieri, ottenendo quindi che tutti i suoi servigi venissero onorati. Si tratta della libertà di curare [Kurierfreiheit]. Il titolo che dava protezione era solo quello di “medico”, per aggiudicarsi il quale era necessaria l’abilitazione. Da quel momento in poi è stabilito che solo determinate persone possono esercitare la scienza medica [Heilkunde]. L’appartenenza a tale ordinamento, garantendo la libertà professionale, fornisce anche una certa indipendenza dallo stato.3 Da tale ordinamento legislativo derivano i regolamenti riguardanti abilitazione e formazione prima per i medici, poi per i dentisti e i terapeuti [Heilpraktiker] e infine, a partire dal 1999, per gli psicoterapeuti – in quanto anche la psicoterapia viene considerata una branca della scienza medica. Oggi, in molti paesi, la questione giuridicamente rilevante rispetto alla pratica della psicanalisi non è piú tanto la sua appartenenza alla medicina, bensí alla psicoterapia; mentre, nei primi decenni della sua esistenza, l’esercizio della psicanalisi veniva di solito coperto dal titolo medico. Chi non lo possedeva poteva rischiare severe conseguenze, come avvenne a Theodor Reik, imputato di “ciarlataneria” nella Vienna degli anni venti:4 la cosiddetta analisi laica diviene un problema giuridico e corporativo. Sembra che sia stata la maggior libertà di esercizio della psicanalisi in Germania a spingere Siegfried Bernfeld, Theodor Reik e altri a trasferirsi a Berlino.5

A questo gioco incrociato di libertà e limitazioni di esercizio si aggiunge un nuovo fattore quando parecchi paesi – la Germania nel 1883,6 l’Italia e la Francia parecchio piú tardi – introducono le casse mutualistiche. Molti servizi della pratica medica non vengono piú pagati direttamente dai pazienti e molti medici ottengono così maggiori occasioni di lavoro. Nel corso del tempo, tale regola finisce per applicarsi sempre piú anche alla psicoterapia. Contemporaneamente però, seguendo il sistema mutualistico, i pazienti si trasformano in “casi” di invalidità o inabilità al lavoro.7 Infatti, la logica delle prestazioni assicurative definisce sempre piú le categorie di patologia, diagnostica e terapia. Inoltre, bisogna stabilire quali medici o psicoterapeuti abbiano il diritto di farsi pagare dalle mutue. Per molto tempo è esistita una chiara separazione fra medici della mutua e medici privati.8 Devo poi essere stabilito in che modo debba essere effettuato un trattamento affinché corrisponda alle esigenze della mutua. Ci troviamo qui di fronte, da un lato, ad una semiotica dei sintomi e, dall’altro, a servizi medici ben definiti e delimitati.

Per inciso, sarebbe interessante esaminare a fondo in quali condizioni – non solo giuridiche, istituzionali o materiali, ma anche teoriche – abbiano lavorato e lavorino gli psicanalisti a partire dal 1900 e fino ad a oggi. Essi sono stati attivi in ospedali militari, istituti, case di cura, in policlinici psicanalitici, in studi medici privati ma anche mutualistici. Durante le grandi crisi economiche che hanno impoverito anche la borghesia, quali sono stati gli aspetti pratici che hanno dovuto affrontare?

L’accordo con una mutua limita la psicanalisi a una terapia controllata, in quanto un trattamento viene preso in carico dalla previdenza sociale solo a condizione che la terapia prometta di eliminare o mitigare i sintomi diagnosticati come malattia. Tale psicanalisi, intesa come servizio di igiene sociale, si orienta essenzialmente verso l’incarico di ristabilire un individuo secondo i parametri imposti da un’istituzione medica. Lo psicoterapeuta si impegna contrattualmente con la mutua a guarire o mitigare “i disturbi con carattere di malattia”. Lo deve al paziente e alla collettività non appena se ne assume il titolo: secondo contratto, lo psicoterapeuta deve sapere [wissen] e guarire [heilen].

Chi oggi in Germania lavora come psicoterapeuta con le mutue, assumendo un incarico e impegnandosi inequivocabilmente in un rapporto contrattuale, si impegna quindi a seguire le norme mutualistiche – non solo a perseguirne lo scopo, ma anche a farlo all’interno di un quadro ben definito: obbligo di presentare una diagnosi e una prognosi, definire un numero fisso di sedute, la durata delle stesse (cosa che esclude automaticamente la prassi lacaniana della seduta variabile), un onorario; inoltre non puó rifiutare di prendere in cura nessun avente diritto. Sempre secondo contratto, il paziente può rivendicare, per vie legali, ció cui ha diritto.

Di fronte a tale mescolanza di regolamenti e di finanziamento pubblico della psicoterapia, la domanda posta dal titolo delle nostre giornate potrebbe provocativamente essere posta anche così: La psicanalisi esegue un incarico?

Un incarico è un compito conferito, qualcosa deve essere eseguito come da ordine. Alcuni incarichi seguono una domanda. Un incarico viene rifiutato, oppure accettato ed eseguito – ma puó anche fallire…

Oltre all’incarico da parte di un’istituzione esistono anche quello del paziente, quello proprio dell’analista (il suo desiderio e il furor sanandi) e infine l’incarico sociale.

Quando Freud tocca nel 1918 il tema dell’efficacia della terapia, a essere trattata non è la domanda se la psicanalisi funzioni, ma due punti che hanno fortemente a che fare col sociale, e cioè: come fare in modo, innanzitutto, che molti possano avere accesso alla psicanalisi (come venne tentato nei policlinici psicanalitici, per esempio a Berlino)? E, in secondo luogo, come sviluppare “un’applicazione su vasta scala della nostra terapia”, una “psicoterapia per il popolo”? A prima guerra mondiale appena conclusa, Freud differenzia fra le richieste poste alla terapia e le esigenze dell’analisi: “È probabile che l’applicazione su vasta scala della nostra terapia ci obbligherà a legare in larga misura il puro oro dell’analisi con il bronzo della suggestione diretta (…). Ma quale che sia la forma che assumerà questa psicoterapia per il popolo, quali che siano gli elementi che la costituiranno, è sicuro che le sue componenti piú efficaci e significative resteranno quelle mutuate dalla psicanalisi rigorosa e aliena da ogni partito preso”.9 Questo passaggio evidenzia da un lato la necessità di un’applicazione su vasta scala e dall’altro i criteri di efficacia e significatività. L’immagine freudiana dell’oro sottolinea quanto sia essenziale per l’analista mantenere la propria posizione e non abbandonarla per formare il paziente a qualcosa – come avviene nella psicoterapia.

Le componenti “piú significative” della psicanalisi vengono da Freud riassunte nel concetto di “Kulturarbeit” – lavoro della cultura e/o civiltà – quando dichiara di poter immaginare che “certe pratiche mistiche possano riuscire a rovesciare i normali rapporti fra i singoli territori della psiche, cosí che, per esempio, la percezione sia in grado di cogliere eventi radicati nell’Io profondo e nell’Es, che le sarebbero stati altrimenti inaccessibili”.10 Nelle sue conferenze, per chiarire al pubblico di medici le carenze di un sapere solo fisiologicamente orientato, Freud fa spesso riferimento a mistici o a scrittori. Continua spiegando come gli “sforzi terapeutici della psicanalisi” seguirebbero “una linea in parte analoga. La loro intenzione è in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo piú indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, cosí che possa impadronirsi di nuove parti dell’Es. Wo Es war soll Ich werden.” A cui segue la frase: “È un Kulturarbeit, come ad esempio il prosciugamento dello Zuydersee”.11 Jacques Lacan traduce “C’est une tâche civilisatrice de la sorte de l’assèchement du Zuydersee”,12 quindi un compito di civilizzazione.

Cosa hanno a che fare gli “sforzi terapeutici” della psicanalisi con Kulturarbeit? Il primo esprime un’intenzione curativa, il secondo un processo in cui restano da chiarire soggetto e oggetto grammaticale: chi o cosa lavora? Chi o cosa viene coltivato? Il Kulturarbeit è un processo che ha luogo nell’analisi e puó, grazie all’analisi, rimettersi continuamente in moto. In tal senso è anche il risultato di una psicanalisi. Sia come processo che come risultato, esso agisce contro ciò che Freud chiama “l’asocialità del nevrotico” e contro la “Kulturfeindschaft”, l’ostilità alla cultura e/o civiltà degli esseri umani: rendendo accessibile qualcosa, essendo efficace, l’analisi agirebbe quindi contro la barbarie. Analizzando i singoli, mettendo quindi in moto in essi tale processo, Freud fa la terapia alla cultura. Sforzi terapeutici della psicanalisi e Kulturarbeit sarebbero allora la stessa cosa? Potrebbe sembrare cosí, ma bisogna fare delle distinzioni.

Negli sforzi terapeutici si tratta di liberare un individuo da una precisa malattia o di metterlo in grado di fare una precisa cosa. Tre incarichi: quello della società, quello del singolo che richiede aiuto e l’autoincarico dell’analista.

Il Kulturarbeit invece non corrisponde né all’esigenza della società né a quella del paziente, e forse neppure a quella dell’analista. Ho detto esigenza, non desiderio. Sostengo infatti che il Kulturarbeit sia il fattore costitutivo del desiderio dell’analista Freud.

Freud dichiara nel 1908: “È noto che una nevrosi cronica, anche se non toglie del tutto la capacità di vivere, rappresenta per l’individuo un grave fardello […]. Ci si potrebbe anche rassegnare, se per esempio le malattie nevrotiche escludessero dalle attività della civiltà [Kulturarbeit] solo un certo numero di individui, che sono poi i piú deboli, e agli altri fosse consentito parteciparvi a prezzo di malanni esclusivamente soggettivi. Vorrei invece richiamare l’attenzione sul punto di vista secondo il quale la nevrosi, fin dove arriva e chiunque colpisca, riesce a vanificare le finalità della civiltà [Kulturabsicht] e, cosí facendo, attende effettivamente al lavorio delle forze psichiche represse ostili alla civiltà [kulturfeindliche] con la conseguenza che quello registrato dalla società non solo non è un guadagno ottenuto a prezzo di sacrifici, ma non è neppure un guadagno, quando la docilità [Gefügigkeit] ai suoi vasti disegni è ricompensata con un aumento del nervosimo”.13

Kulturarbeit quindi come incarico proprio, immanente, della psicanalisi freudiana. Che significa?

Ho scoperto con sorpresa che in Germania, già ai tempi di Freud, i trattamenti psicanalitici venivano finanziati dallo stato o da previdenze sociali. Nel 1923, in un libretto del consigliere di corte austriaco Dr. S. Fried,14 viene “affermata la necessità, in alcuni casi, di rendere possibile ai soci della mutua i trattamenti psicanalitici”.15 Nello stesso anno, Alfred Döblin scrive nella Vossischen Zeitung: “In molte città lavorano analisti, a Berlino anche in un policlinico. Mi appare essenziale l’allestimento di simili istituti in ogni grande città. Richiamo l’attenzione di chi sa sulla miseria del trattamento neurologico ai bisognosi. Molti casi della clientela mutualistica vanno sottratti al trattamento medico e affidati a cure psichiche a lungo termine. Esse sarebbero per essi ben piú significative dei periodi di riposo in campagna concessi dalle mutue con gran spreco di denaro.” Contemporaneamente, egli definisce gli “studi privati” una “riserva per abbienti”.16 Pochi sanno che lo scrittore Döblin (1878 – 1957, autore di “Berlin Alexanderplatz”) dal 1919 esercitava in uno studio medico mutualistico a Lichtenberg, un quartiere proletario di Berlino. Sebbene non in maniera costante, Döblin si definisce molto spesso psicanalista. In un testo del 1925, egli dichiara che una psicanalisi significherebbe per il paziente “una modifica oggettiva della sua personalità etica”. Per Döblin la psicanalisi è dunque un atto etico che va oltre il processo di guarigione.

Questa dimensione etica – sempre piú estraniata dalla psicanalisi, via via che l’attenzione si sposta sulla lotta alle resistenze e ai sintomi – è invece al centro della polemica di Theodor Adorno e Herbert Marcuse contro le ideologie della ego psychology e del culturalismo, e di conseguenza contro Erich Fromm e Karen Horney. Adorno e Marcuse, emigrati negli USA, denunciano in tali ideologie una tendenza che essi vedono agire anche nel nazionalsocialismo, tendenza riassumibile in Kraft durch Freud(e) [Potenza attraverso Freud / potenza attraverso la gioia – Freud fait la force / la joie fait la force]. Il nazismo infatti non si è mai opposto alla psicoterapia, ma solo alla psicanalisi.

Nella Germania del dopoguerra va completamente perso l’orientamento alla questione etica rispetto alla “giusta vita”.17 Mentre Theodor Adorno e Max Horkheimer, rientrati dagli USA, continuano a mettere in guardia contro “analisi brevi” e “analisi di gruppo”,18 gli psicanalisti e psicoterapeuti tedeschi, per la maggior parte medici, si sforzano di ottenere il riconoscimento da un lato della IPA, dall’altro delle istituzioni sanitarie tedesche. Grazie alla documentazione (Die Berliner Psychotherapiestudie) secondo cui la psicoterapia sarebbe efficiente e farebbe risparmiare soldi, alla fine degli anni ’60 la nevrosi viene riconosciuta come malattia e la psicoterapia come scienza medica.

Tale sviluppo lascia all’oscuro la proposta freudiana dell’unità di ricerca e cura (“Junktim zwischen Forschen und Heilen”): non lasciando più spazio alla questione etica specifica alla prassi psicanalitica.

Mi sembra che oggi si possa quindi affermare che la questione dell’agire etico dello psicanalista sia stata sostituita da una psicoigiene sociale – che fa sì che molti psicoterapeuti subordinino il loro agire ad un incarico esterno e a scopi eterodiretti.

La critica alle legislazioni sulla psicoterapia non può infatti esaurirsi in lamentazioni sulla “cattiveria” dello stato e sullo strapotere delle lobby dei medici o degli psicologi. A tali legislazioni hanno contribuito non solo gli sviluppi nel campo del linguaggio, dei media, della scienza, dell’economia e della soggettività odierna – ma anche le resistenze di molti psicologi, psicoterapeuti e psicanalisti contro la psicanalisi. Si potrebbe addirittura parlare di una mutazione della soggettività di molti psicanalisti.

E infine, ancora un accenno a “efficacia e significatività” della psicanalisi rispetto alla problematica dell’abilità al lavoro [Arbeitsfähigkeit]: dato che spesso si afferma che essa sia uno degli scopi dichiarati dell’analisi freudiana. A mio avviso, per Freud essa lo è solo come abilità al Kultur-arbeit, al lavoro della cultura e/o della civiltà.

Freud racconta di un giovanotto molto intelligente, uno studente che deve superare l’esame di stato e che non ci riesce, avendo perso interesse, capacità di concentrazione e memoria.19 Questo “stato di paralisi” deriverebbe da un immane sforzo di autocontrollo riguardo all’amore per la sorella, che lo avrebbe fatto “ammalare”. “Ridiventato abile al lavoro grazie alla psicanalisi”, il giovanotto fa il suo esame e torna poi da Freud per un breve periodo “giacché, come egli disse, in quanto filosofo la psicoanalisi aveva per lui un interesse che andava al di là del successo terapeutico”. In questa fase, racconta di una visita da un’indovina (in tedesco Wahrsagerin, letteralmente “verodicente”) e di come avesse trovato “großartig”, grandiosa, la verità intrinseca della sua profezia, cioè la morte a breve termine del cognato, marito dell’amata sorella. Morte non avvenuta, ma che esprimeva un desiderio. Freud: “Che avrei dovuto dire? Potevo solo arrabbiarmi che un uomo istruito e con un’analisi riuscita alle spalle non fosse in grado di meglio intuire il nesso”.20

La riuscita dell’analisi si riferisce al superamento del problema specifico che aveva condotto il paziente da Freud. Tale pezzo di analisi non era stata però di certo analiticamente “efficace”, per lo meno per quanto riguarda il “großartig”. In effetti, di questo episodio si riparla durante il proseguimento dell’analisi, quindi dopo aver chiarito i primi nessi dell’incapacità lavorativa.

In due testi su telepatia e occultismo (1921 e 1933), Freud descrive questo caso a proposito del non voler sapere e dell’entusiasmo per le certezze. In uno di essi egli afferma che analisti e occultisti, pur partendo dal comune proposito di non ignorare fenomeni occulti, non condividono altro: mentre i primi, “diffidenti al massimo verso la potenza degli umani moti di desiderio”, sono disposti a sacrificare “l’abbagliante splendore di una teoria priva di lacune pur di acquisire un frammento di sicurezza oggettiva”, gli occultisti si elevano al di sopra della scienza. Poiché gli uomini non aspetteranno che si giunga ad una teoria accettabile di fenomeni occulti, gli occultisti “verranno salutati come chi è venuto a liberarci dalla pesante costrizione intellettuale, e tutta la credulità che ancora sopravvive dai giorni infantili della storia umana e dagli anni infantili dei singoli individui si farà loro incontro con esultanza. Potrà allora essere imminente uno spaventoso collasso del pensiero critico”.21 È in questo contesto che Freud non nasconde la sua irritazione verso la scarsa valutazione della scientificità della psicanalisi da parte dell’analizzante. Contemporaneamente, richiama l’attenzione su un lavoro analitico ancora da compiere: su una rimozione primaria o su qualcosa ancora da desumere?

In ogni caso il großartig del paziente esprime un fascino per l’onniscienza e l’onnipotenza – che oggi possiamo ben sentire: großartig – groß A.

Rispetto all’onnipotenza, Lacan si è espresso una volta: “Spero che in tutto ció che ho detto, io non cedo un solo attimo all’idea, quanto a me, di credermi onnipotente. Che è veramente ciò che vi è di piú lontano dal mio pensiero e di piú lontano dal risultato che ci si deve aspettare da un’analisi. Non è obbligatoriamente il risultato principale, ma il risultato minimo.”22 Ma proprio questo risultato si situa al di fuori del campo considerato socialmente utile.

Non va dimenticato che il Kulturarbeit non si mette in moto automaticamente quando qualcuno va dallo psicanalista, né è necessaria un’intenzione “culturale” dell’analista. Esso si mette in moto quando l’analista, durante la cura, riesce a prendere una certa posizione e a mantenerla. Il paziente viene a cercare qualcuno che, come l’indovina citata da Freud, dica il vero, che gli dica la sua verità di soggetto. Chi non può o non vuole mantenere tale posizione reclama a sé un sapere, dimenticando che all’analista non spetta che condurre il lavoro del desumere. Egli non può sapere dove ciò porterà: l’analista “non puó stabilire con precisione che cosa riuscirà a fare. Egli avvia un processo […]. Può sorvegliarlo, promuoverlo, liberarlo dagli ostacoli, e può anche sciuparne molto. Nel complesso però questo processo, una volta avviato, prosegue per la propria strada senza lasciarsi prescrivere la direzione.”23 Avviare tale processo è già una gran responsabilità. Il resto, lo fa l’analizzante. L’insistenza sul lavoro del desumere il reale è Kulturabeit.

Sta a noi chiarire questa specificità della psicanalisi.

 

Note

1 S. Freud, Zur Psychotherapie der Hysterie, in G.W. vol. 1, pag. 297, trad. it. id., Per la psicoterapia dell’isteria, in Opere di Sigmund Freud, 12 voll., vol. I, Boringhieri, Torino 1967, p. 394.

2 I due sostantivi che definiscono le posizioni dell’azione sono: analista e analizzante, poi peró la cosa si complica, dato che non esiste un pendant di terapeuta (se non nella forma passiva di “colui da terapizzare”, ma non in forma attiva) e per quanto riguarda la cura si conosce solo il “curatore”, che peró non si occupa di persone ma solo di cose, e il termine alquanto fuori uso di “curante” nel senso di paziente).

3 “Wer die Heilkunde, ohne als Arzt bestallt zu sein, ausüben will, bedarf dazu der Erlaubnis.” § 1, 1 della HeilprG 23-1, del 17. fabbraio 1939, modificata dalla legge del 2 marzo 1974 BGBl. I pag. 469. La frase qui citata si trova già nella versione del 1939.

4 Freud, rispetto alla qustione dall’analisi laica, considera che: “Per la legge ciarlatano è colui che tratta gli ammalati senza essere in possesso di un diploma statale che lo abiliti all’esercizio della medicina. Io preferisco una definizione diversa: ciarlatano è colui che intraprende un trattamento senza possedere le conoscenze e le capacità necessarie. In base a questa definizione non esito a sostenere che i medici, e questo non soltanto in Europa, forniscono alla psicoanalisi un contingente considerevole di ciarlatani. Essi esercitano assai spesso l’analisi senza averla appresa e senza capirci nulla.”, in S. Freud, Il problema dell’analisi condotta da non medici, in OSF, vol. 10, pag. 396-7.

5 M. Schröder, Zur Frühgeschichte der Laienanalyse. Strukturen eines Kern-Konflikts der Freud-Schule, in PSYCHE, 50, Nr. 12 (1996), pag. 1168, nota 42.

6 La previdenza sociale fu creata da Bismarck. Nel 1883 nasce la cassa mutualistica degli operai, nel 1884 la cassa per infortuni, nel 1889 l’assicurazione per invalidità e per la vecchiaia, nel 1911 l’assicurazione per gli impiegati e nel 1927 l’assicurazione per i disoccupati.

7 Il trattamento di un disturbo viene infatti preso in carico dalla mutua solo quando questo rientri nel campo ben definito dalla previdenza sociale.

8 A parte alcuni casi in cui lo stato o un comune garantisce un trattamento psicoterapeutico.

9 S. Freud, Vie della terapia psicoanalitica, in OSF, vol. 9, pag. 27 (corsivo nostro).

10 S. Freud, Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, 31. Vorlesung, in G.W., vol. 15, pag. 86, trad. it. Introduzione alla psicanalisi (Nuova serie di lezioni) – 31-esima lezione, in OSF, vol. 11, pag. 190, traduzione modificata secondo originale.

11 Ibidem.

12 J. Lacan, “La Chose Freudienne” (1955).

13 S. Freud, Die »kulturelle« Sexualmoral und die moderne Nervosität. in G.W., vol. 7, pag. 161 e 166.

14 Rezeptformeln und therapeutische Winke für Krankenkassenärzte, 1923.

15 Hitschmann in Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1923, pag. 228.

16 A. Döblin, A.: Praxis der Psychoanalyse, in Alfred Döblin, Kleine Schriften II 1922-1924, Walter-Verlag, Olten 1990, p. 272 e p. 274. Vossische Zeitung, 28.6.1923.

17 T. W. Adorno, Minima Moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, Frankfurt/M.: Suhrkamp (1. Aufl. 1951), p. 7.

18 M. Horkheimer, Die Psychoanalyse aus der Sicht der Soziologie, in ders.: Gesellschaft im Übergang. Aufsätze, Reden und Vorträge 1942-1970, Frankfurt/M.: Fischer 1981, p. 142.

19 S. Freud, Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, in G.W., vol. 15, pp. 45-46.

20 Ivi, p. 47.

21 S. Freud, Psicoanalisi e telepatia, in OSF, vol. 9, p. 348.

22 «J’espère que dans tout ce que j’ai dit, je ne prête pas un seul instant à l’idée que, quant à moi, je me crois tout-puissant. Ce qui est vraiment ce qu’il y a de plus éloigné de ma pensée et ce qu’il y a de plus éloigné du résultat à attendre d’une analyse. Ce n’est pas forcément le résultat principal, mais c’est le résultat minimal.» 1975-01-26 Réponse à un cartel à Strasbourg travaillant sur: Chair et parole/Corps et signifiant.

23 S. Freud, Inizio del trattamento, in La tecnica del trattamento, Mondadori, Milano 1992, pag. 123.

 

4 commenti

  1. Caro Claus, il suo post è davvero pieno di spunti.

    Mi concentro sulla metafora dell’oro. Nella versione tedesca c’era una nota che diceva che questa metafora è spesso citata ma non si spiega la posizione dell’analista nei confronti dell’oro. Per me si può fare riferimento alla Frage, dove Freud usa una metafora simile:

    “Dovrà decidersi a considerare in un modo del tutto particolare il materiale che, obbedendo alla regola, l’analizzato le fornisce. È qualcosa come un minerale da cui estrarre il contenuto di metallo prezioso attraverso un certo processo. Lei allora è disposto a lavorare anche tonnellate di minerale, che forse contengono solo piccole quantità della costosa materia ricercata. Questa è la prima giustificazione della lunghezza della cura.”

    Il suo testo è molto preciso nel tracciare questa mutazione “(gen)etica” degli analisti, questo sopravvenire di finalità esterne. In questo senso spiega già perché la psicoterapia venga paragonata ad una lega.

    Sempre in riferimento alla psicoterapia, anche nella Frage ci sono passaggi importanti:

    “I nostri avversari, seguaci della psicologia individuale adleriana, mirano allo stesso cambiamento in persone diventate instabili e inette, risvegliando in loro l’interesse per il sociale, dopo aver illuminato un unico angolo della loro vita psichica e mostrato in quale quota i loro impulsi egoistici e diffidenti partecipino alla loro malattia. Entrambi i procedimenti, che devono la loro forza al fatto di appoggiarsi alla psicanalisi, hanno il loro posto nella psicoterapia.”

    A parte il disprezzo non celato verso Adler che finisce per investire anche la psicoterapia, quel “posto” indica che la collocazione della psicoterapia sia esterna alla psicanalisi. E subito dopo:

    “Quella che conduciamo è una cura d’anime nel senso migliore del termine. Ci siamo prefissati una meta troppo elevata? Almeno la maggior parte dei nostri pazienti vale lo sforzo che questa cura ci richiede? Non sarebbe più economico puntellare il difetto da fuori invece che riformarlo da dentro?”

    Questo è per me un passaggio fondamentale, che illumina buona parte del suo articolo: la mutua è oggettivamente una dispensatrice di “puntelli”.

  2. Caro Klaus,

    sto leggendo le 5 Conferenze a Worcester del 1909. Anche qui, nella terza conferenza, una metafora “minerale”:

    “Questo materiale ideativo che il malato allontana con spregio da sé, qualora si trovi sotto l’influsso della resistenza anziché sotto quello del medico, rappresenta per lo psicanalista, in certo qual modo, il minerale al quale egli sottrae, con l’ausilio di semplici arti interpretative, il suo contenuto di metallo prezioso” (OSF, vol. 6, pag. 150).

    Ho consultato le GS (vol. 4, pag. 385) per verificare il tedesco originale corrispondente a quest’altro passo, sempre nella terza conferenza:

    “Il fatto che nel corso dei tentativi terapeutici noi arricchiamo e approfondiamo la nostra conoscenza della vita psichica degli uomini normali e malati…” (OSF, vol. 6, pag. 156).

    Ipotizzavo ci potesse essere “Einsicht” per “conoscenza” come nella Frage, invece c’è “Kenntnis” e la traduzione è corretta. Ho invece scoperto per caso che in questo passaggio ci sono i “therapeutischen Bemühungen”: gli “sforzi” nella traduzione italiana diventano “tentativi”. Una piccola banalizzazione…

    Cosa ne pensa?

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